lunedì 19 novembre 2007

LITTLE RED TRASH RIDING HOOD di Claudio Guidi


Un primo squillo.

Un secondo squillo.

Un cellulare di colore rosa che trilla insistentemente. Campeggia sul display una scritta semplice "Mà".Una mano afferra il fastidioso pezzo di plastica. Una mano piccola e gentile, dita lunghe e ben proporzionate, unghie smaltate di rosso.


La mano in questione è di una ragazza, probabilmente più vicina ai 18 che ai 20. Questa ragazza ha un nome, ma non importa conoscerlo. Nel quartiere è soprannominata Cappuccetto Rosso, per via dei suoi capelli a caschetto di colore rosso naturale. Una di quelle ragazze che a guardarla si pensa immediatamente che faccia la modella. Una ragazza che non ha bisogno di alcun artificio per far girare la testa a uomini e ragazzi quando li incontra per strada.


Risponde svogliatamente al cellulare.


- Pronto mà?

- Pronto? Ah, bene, ce l'abbiamo fatta a rispondere! Che diamine aspettavi? Sai che ore sono?

- Sì mà.

- E sai cosa devi fare?

- Sì mà.

- E allora che ci fai ancora a casa? Lo sai che devi andare alla casa di cura a dare da mangiare a tua nonna, eh? Lo sai che se non c'è qualcuno di famiglia quella è capace di mettere sottosopra tutto il reparto, vero? Muoviti ora!

- Uff...sì mà, ora vado.

- Non ora, subito!


Rapporto madre-figlia come tanti altri, perfettamente nella norma. La madre di Cappuccetto Rosso è agente immobiliare. Praticamente a casa non la si vede mai. E' sempre impegnata a lavorare. Un'anima in pena che affoga i suoi pensieri nel lavoro.

Ma questo a Cappuccetto Rosso poco importa. Ha ben altre cose per la testa che i problemi della madre. Nei fatti, il familiare che deve stare là ad imboccare la nonna è lei. Impegno che non le peserebbe più di tanto, se avesse qualche anno in meno, o qualche anno in più. Ma Cappuccetto Rosso è in quell'età ingrata in cui i doveri familiari, foss'anche buttare la spazzatura, pesano come un macigno.


Cappuccetto Rosso non ha il padre. Brutto affare, davvero. Era un delinquente del quartiere, di quelli che entra ed esce dalla prigione. Fu così fino a quel giorno, in cui quella che aveva promesso essere la sua ultima rapina si tramutò in una tragedia. L'arrivo della polizia, la sparatoria, il padre che morì tra le braccia del suo migliore amico.

Ma tutto ciò Cappuccetto non lo ricordava. Del padre ha notizia solo attraverso gli inclementi racconti della madre e le leggende metropolitane del quartiere, che lo dipingono come un ladro galantuomo.


La ragazza si prepara per uscire e andare dalla nonna. Spera solo di potersi sbrigare, ha altro per la testa. Si guarda nello specchio. Decisamente ha altro per la testa, che la nonna. Ha già fatto perdere la testa a tanti ragazzi, e fare quel gioco la diverte non poco. La fa sentire onnipotente.

Non sono poche le volte che si è concessa, perchè in fin dei conti è lei ad avere il meglio di quei rapporti. Talvolta si sente un pò come una mantide religiosa.

Ma la verità è un'altra. Cappuccetto si è convinta che l'amore, non già quello fisico, non esista. Anzi, pure esistesse sarebbe da sfuggire come una malattia contagiosa.

A cosa porta in fin dei conti?

Pensa alla madre, pensa al padre di cui non si ricorda.

Scuote la testa.

Che le malelingue pensino pure quello che preferiscono di lei, che sia una poco di buona, una ragazza facile. Se ne frega, Cappuccetto Rosso. Va dritta per la sua strada, giorno dopo giorno.


Afferra lo zainetto, chiavi di casa, casco, e attraversa la porta, diretta alla casa di cura.

Arriva al pianerottolo, un rumore dietro di lei. Uno zippo che si accende.


Si gira, riconosce l'uomo nella penombra, sorride.

Un nero gigantesco, vestito di nero, che fuma una sigaretta scura. Contraccambia il sorriso e la saluta.


- Dove vai di bello, fammi indovinare, dalla nonna, vero?

- Certo che sì, è l'ora della poppata.


Lo guarda, gli si avvicina in punta di piedi, e giunta sotto al suo naso gli fà la linguaccia.


- Ti sento anche se non ti vedo, ragazzina impertinente.


L'uomo ridacchia. Quest'uomo ha un nome, ma non importa conoscerlo. Nel quartiere è soprannominato Hunter. Un arabo convertito alla religione cristiana, o alla religione di se stesso, come spesso dice. Vive di sigarette, di caffè scuro, di antidolorifici.

E' cieco.

In passato era il miglior amico del padre di Cappuccetto. Un gran figlio di puttana. Quel giorno, il giorno della rapina, pianse tutte le sue lacrime per non esser riuscito a salvare l'amico. Da quel giorno i suoi occhi non vedono più. Ma i suoi sensi sono diventati più acuti.

Quel giorno, il giorno della rapina, fece una promessa al padre di Cappuccetto Rosso. Da quel giorno, a parte il periodo trascorso in "collegio", ha sempre tenuto fede a quella promessa.

Una promessa strana, che lì per lì non comprese a pieno. Gli sembrò una cosa sciocca e senza senso. Ma il suo buon amico, in punto di morte, aveva forse visto cose che agli umani normali non sono concesse di vedere. Che avesse capito come sarebbe andata a finire? Chi può dirlo.

Ciò non importa a Hunter. Una promessa, un giuramento come quello, non può non essere onorato.E lui lo rispetta ogni qualvolta sia necessario, per niente impedito dalla luce che non offende più i suoi occhi.


La ragazza si alza sulle punte dei piedi, dà un bacio sulla guancia ad Hunter, e scappa via, prima che questi possa farle la solita ramanzina sulle sue amicizie, e farle le solite prediche, quelle che gli adulti amano fare agli adolescenti.


Arrivata in cortile salta sul suo motorino, mette in moto e parte.


Non ha fatto un paio di chilometri in direzione della casa di cura quando intravede delle macchine blu a sbarrare la strada. Il solito posto di blocco degli sbirri.


Un agente la ferma e le chiede con fare meccanico i documenti. Lei glieli passa, e questi si avvicina all'auto per verificarli.

I documenti vengono presi da un altro poliziotto, in borghese. Un tipo dalle folte sopracciglia e con le dita che sembrano artigli.

Questo poliziotto ha un nome, ma non importa conoscerlo. Nel quartiere è soprannominato Wolf. E' un grandissimo figlio di puttana, con un concetto molto personale della legge. E' commissario, ma quel giorno, il giorno della rapina, era un semplice graduato di polizia, ma molto determinato a fare carriera.E quel giorno era di servizio, passò fuori dalla banca mentre i rapinatori stavano uscendo. Fu lui a sparare al padre di Cappuccetto Rosso, malgrado questi avesse alzato le mani. Per quell'atto di coraggio rimediò una promozione.


Wolf guarda la ragazza, con una certa cupidigia negli occhi. Non è un segreto per nessuno che gli piacciano le ragazzine. Sono sempre state un suo debole. Del resto, il suo concetto di donna è molto semplice, non fà ragionamenti sofisticati in merito alle sfaccettature dell'universo femminile. Per lui ogni donna è una puttana; magari non si rende conto di esserlo, però per Wolf è solo questione di tempo, e prima o poi uscirà fuori. Si fà vanto di affermare la sua pregevole teoria in ogni occasione, anche in quelle in cui decenza consiglierebbe di tacere.

Ma Wolf non sa cos'è la decenza. Il suo unico metro di giudizio è il tornaconto che riesce a ottenere da qualsiasi situazione.


E in questo momento riflette su quale tornaconto può venirgli da quella ragazzina, che per altro ha già inquadrato diverse volte. Non è misterioso il suo sguardo, se la porterebbe volentieri a letto. Semplice e diretto.

Esce dalla macchina, con i documenti di Cappuccetto Rosso in mano.


- Ragazzina, dove te ne vai di bello?

- Sto andando da mia nonna.

- Ma dai? Ma non mi dire! Dalla vecchia e cara nonnina. Ah, che nipotina adorabile. Fortunata la nonnina.

- Posso riavere i miei documenti?

- Certo, certo, vai pure. Normale controllo di routine.

- Grazie.


Cappuccetto Rosso mette in moto e si allontana. Wolf è completamente rapito da quella ragazzina, tanto che non sente quanto gli dice l'agente che è al suo fianco. Percepisce le parole, ma non le afferra.In testa ha altro.

Sale in una delle auto, ha deciso che cosa fare.

Si dirige presso la casa di cura.


Cappuccetto Rosso arriva alla casa di cura, parcheggia il motorino, va all'ingresso. La solita strada di tutti i giorni, le infermiere la riconoscono e la salutano. Sanno dov'è diretta, dalla vecchia pazza, quella che urla e strepita in continuazione circa il figlio che le hanno ammazzato. Bel tipo che era il figlio! Proprio raccomandabile!

Ma per una mamma, il figlio è pur sempre il figlio.


E così Cappuccetto sale le solite scale, attraversa il solito corridoio, saluta il solito inserviente, arriva alla solita porta della solita stanza.

Bussa leggermente, ed entra.


Vede la nonna sotto le lenzuola, avvolta nel suo scialle. Avrà freddo, pensa.


- Ciao Nonna, ti ho portato il pranzo.

- Oh, nipotina mia, che bello vederti.


Ma c'è qualcosa che non va. La voce della nonna è un pò roca. E infatti la nonna non è la nonna, ma è Wolf, che infilatosi nella casa di cura ha minacciato un paio di dottori, ricattandoli circa alcuni loro peccatucci con certi stupefacenti, per poter portare avanti il suo losco piano.


- Nonna, ma che voce strana che hai!

- E' la bronchite, sai, qui fa un freddo.

- Nonna, ma che mani grandi che hai!

- Sono per abbracciarti meglio, Cappuccetto Rosso.

- Nonna, ma che occhi grandi che hai!

- Sono per guardarti meglio, piccola mia.


Al che Cappuccetto Rosso, per niente convinta, nota una cosa strana. Un rigonfiamento sotto le lenzuola. Un rigonfiamento tanto eloquente, quanto curioso, in quanto, a rigor di logica, non dovrebbe esserci.

Così si avvicina al letto, e tira via di colpo le lenzuola.


- Ah, però, nonna, complimenti!


Wolf lì per lì è colto alla sprovvista, ma si riprende subito, afferrando la ragazza.

Ma Cappuccetto Rosso non ha alcuna intenzione di andare via.

Anzi. Lo guarda spavalda mentre gli si getta addosso.


- Sappi, che per te alla fin fine non sarà così piacevole come potresti pensare ora.


E' il caso a questo punto di interrompere la cronaca degli eventi, se non altro per pudore e decenza. In fin dei conti, probabilmente, quanto avviene tra i due non è cosa che dovrebbe interessare altri che non loro, per l'appunto. Quindi, possiamo anche concedere un attimo di privacy. Magari si potrebbe anche trattare di altro, giusto come intermezzo. Ma anche no.

Riprendiamo direttamente il discorso un pò più in là sulla linea temporale.


Cappuccetto Rosso si sta risistemando, nella stanza di sua nonna nella casa di cura. Nel letto della nonna è Wolf, piuttosto provato da quanto successo nelle ultime due ore.

Ed anche piuttosto soddisfatto di se stesso. Può ben dire di aver messo un'altra tacca sulla sua pistola preferita. E che tacca. Già, non aveva mai trovato una ragazza così.


- Aspetta a compiacerti, Wolf, assassino di mio padre. Il bello deve ancora venire.


Gli manda un bacio con le dita, e si allontana.

Passa accanto ad un paravento, da cui proviene una voce profonda. Una voce nota.


- Penso che oggi ci incrociamo per l'ultima volta, Cappuccetto. E' il nostro ultimo giorno. Addio.


La ragazza passa veloce, senza girarsi, con una lacrima che le solca profondamente la guancia.


Wolf è ancora nel letto, quando lo vede entrare.

Hunter è in piedi alla porta, con una '45 automatica in mano. Punta con una sicurezza insospettabile per un uomo privo della vista. Spara due colpi, Wolf è preso al petto e al collo, si accascia sul letto, il respiro accelerato dall'adrenalina.


Una voce gli torna in mente, delle parole cui non aveva prestato orecchio quello stesso giorno.

"E' strano, commissario, sa che voce gira? Che tutti i ragazzi con cui è stata vista quella tipa là sono scomparsi nel nulla. Eppure quella ragazzina è pulita, non trova sia strano?"


Hunter rinfodera la pistola, e gli si avvicina.


- Sai, caro Wolf, ho aspettato tanto questo giorno. Sai perchè? Perchè quel giorno, il giorno della rapina, il padre di Cappuccetto Rosso mi disse di tenerla d'occhio, e mi fece promettere che avrei fatto secco ogni uomo o ragazzo che avesse avuto la figlia. Pensai che avesse le sue buone ragioni da padre. Però oggi finalmente ho capito perchè mi disse quelle parole. Certo, poteva darmi anche più dettagli...


Hunter afferra un inerme Wolf per il collo.


- ...poteva dirmi direttamente di fare secco te, ad esempio.


Hunter stringe Wolf per collo e nuca, uno scatto secco.


- Ma del resto, non è che si possa pretendere molto da un moribondo, no? Oh, che sciocco, ma guarda a chi vado a dire certe cose.


Wolf crolla sul letto, senza vita.


Hunter si gira e se ne va, da oggi la sua vita ha meno importanza, e sa che anche per lui il destino è vicino.

Esce dalla casa di cura, si incammina verso casa, senza troppa fretta.


Gli sbirri non ci mettono molto a scoprire quanto avvenuto, e a indovinarne il responsabile, oltre che a trovarlo.


In poco gli sono addosso.

Hunter li sente, uno per uno, percepisce il loro respiro, percepisce le pistole puntate contro di lui. Ma ride. Si è preparato per anni a questo giorno.

Solleva la testa, non guarda nessuno ma è come se guardasse ognuno di loro.


- So che la mia ora è vicina, ma prima di uccidermi è bene che voi sappiate una cosa, per quanto ciò non vi farà cambiare idea: per ogni goccia del mio sangue moriranno 10 di voi.


Cappuccetto Rosso sta correndo col suo motorino, le guance solcate da un fiume di lacrime. Pensa come oggi abbia capito tante cose; ha capito come tutto quanto il mondo possa girare eppure rimanere fermo; ha capito quanto le manchi il padre che non ha mai conosciuto; ha capito quanto la madre abbia sempre fatto di tutto per lei; ha capito quanto possa essere bella la vita, ma anche quanto possa fare schifo se non la si ha cara. Ha capito che il confine tra realtà e immaginazione è spesso sottile come un capello, e che al pari di un capello si può spezzare.

Ma soprattutto ha capito che fino ad oggi ha sbagliato tutto, e che malgrado ogni buon proposito, sbaglierà ancora. Ha capito che l'amore può esistere, e lei se ne è accorta troppo tardi.


Questo pensa mentre sente in lontananza degli spari, e poi un'esplosione, gigantesca, da far tremare la terra.


E a questo pensa mentre passa sopra al viadotto, e dirige il motorino oltre il bordo.

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