mercoledì 16 gennaio 2008

DOC di Giancarmine di Matola



Molti tendono a imitare gli altri per paura di tradire le loro strane manie. Molti cercano disperatamente riferimenti nella morale corrente solo per coprire e nascondere le loro vere inclinazioni. Questa negazione dell´io mette in discussione la loro autostima, molti non ne hanno abbastanza oppure è ridotta al lumicino. Ma non è il mio caso. Io ho trovato una dimensione, un equilibrio in ciò che faccio, anche se qualcuno si ostina a volerlo ricondurre a una patologia. Questo è il mio modo di essere ma qualcuno mi chiama disturbato-ossessivo-convulsivo, o più semplicemente Doc. La giornata è assolata, nell´aria c´è qualcosa di primaverile che mi spinge a uscire fuori di casa, io mi preparo per il mio solito giro. Il corso San Giovanni a Teduccio è inondato di luce e io mi sento agitato, devo sbrigarmi, la voglia è forte e devo placarla. M´avvio a grandi passi verso piazza San Giovanni Battista, là inizierà il mio giro e io ho già l´acquolina in bocca. Ecco, finalmente sono arrivato, tutto ora avrà inizio. Li vedo, sono in fila uno dietro l´altro, sono scintillanti e colorati e mi viene una gran voglia di accarezzarli, di toccarli. Inizio con il primo. Afferro dall´alto quella che sembra essere una sfera, è fredda al contatto, ma di un freddo elettrizzante che ti dà la scossa, al tatto sento tutte le imperfezioni del metallo, man mano sento anche gli strati di antiruggine e di vernice al piombo. Ora sento le endorfine prodotte nel lobo intermedio dell´ipofisi e nel nucleo arcuato dell´ipotalamo entrarmi in circolo, l´ho imparato dal neurologo del centro di igiene mentale dell´Asl di Ponticelli, lui dice che è quello che mi accade ogni volta che lo faccio. Ora mi sento rassicurato e tranquillo, ho toccato il mio primo paletto di ferro sul marciapiedi. Avanzo con calma toccando in successione gli altri paletti, lo faccio perché sono un ossessivo o almeno così dice il neurologo dell´Asl, dice che il mio pensiero va sempre a quella scossa che si sprigiona dal contatto coi paletti. D´un tratto cambio marcia, ora li tocco velocemente, sempre più velocemente, questo perché sono un compulsivo, ovviamente me lo ha detto quel fottuto neurologo del centro di igiene, dice che per mantenere alta la produzione di endorfine da parte del sistema nervoso centrale devo toccare i paletti velocemente. Per fortuna non ci sono più andato all´Asl di Ponticelli, non capivano le mie esigenze, per loro ero soltanto un matto come gli altri, uno da curare con la Fluoxetina, il Paroxetin e il Ritanil. Prima il mio giro lo facevo insieme a Enrico, lo conobbi al centro di igiene quando lo frequentavo ancora, Enrico era anche lui un Doc, un ossessivo compulsivo, ma la sua specialità era il toccare i tombini stradali, diceva che il contatto con i coperchi di ghisa, mista al fetore e all´umidità che saliva dalle fogne, lo inebriavano più di droga allucinogena, per lui era meglio del sesso. Anche per me toccare i paletti era sempre stato meglio del sesso, per questo io ed Enrico andammo subito d´accordo. La mattina facevamo il giro insieme, io mi occupavo dei paletti, lui, due metri più avanti, dei tombini, ricordo ancora le sue bestemmie ogni qual volta un´auto parcheggiava sul suo tombino preferito. Poi d´un colpo non lo vidi più, sparì dalla circolazione, neanche all´Asl lo trovai più. Tempo dopo venni a sapere che la sua famiglia l´aveva rinchiuso al Leonardo Bianchi. Un giorno mi telefonò dall´ospedale, mi disse che si trovava benissimo e che c´erano un sacco di tombini di varie forme e dimensioni, fu l´ultima volta che lo sentii. Paletto dopo paletto sono arrivato alla fine del corso San Giovanni, adesso giro per il corso Protopisani, lì i paletti sono più grezzi e mal curati, ma per me sono ugualmente attraenti. Il primo paletto è mancante, qualcuno lo ha sradicato e quei maledetti del Comune ancora non l´hanno sostituito. Inizio a toccare i paletti con più concentrazione, come se il loro stato di abbandono richiedesse un maggior sforzo di comprensione da parte mia, al tatto sento la vernice quasi sparita, al suo posto sento ruggine e sporcizia, ne scaturisce una scintilla diversa ma ugualmente coinvolgente, anche in questo caso il mio corpo mantiene alta la produzione di endorfine. In genere certe bizzarrie non si trasmettono, rimangono casi sporadici nell´ambito familiare, ma non così per me. Lo scoprii per caso da bambino, lo vedevo camminare e abbassarsi continuamente, lo faceva per toccare i copri ruota delle auto parcheggiate, era mio padre, ossessivo-compulsivo prima di me. Lo vedevo dannarsi l´anima per toccare quei copri ruota che all´epoca erano in ferro, diceva che il calore di quei dischi, misto alla puzza dell´impianto frenante, era la migliore medicina per la sua depressione, mia madre faceva finta di niente e anch´io lo ignoravo. Ora è seduto nella sua poltrona di similpelle che fissa la finestra da mattina a sera, spento in viso e senza più volontà, sconfitto dal progresso e dai copri ruota in plastica. Una volta gli chiesi perché odiava così tanto i copri ruota in plastica, lui rispose che non valevano niente, che erano senza cuore e anima, da allora giurai a me stesso che non sarei diventato come lui, ecco perché scelsi i paletti, di certo quelli non finiranno mai. Ora mi trovo a metà del corso Protopisani, in lontananza noto un gruppo di operai che sta demolendo il marciapiedi davanti a me, paletti compresi. Mi avvicino a loro con un groppo in gola. Dalle scritte sulle tute m´accorgo che sono operai dell´acquedotto, stanno cambiando le tubature interrate e per farlo eliminano il marciapiedi. Non c´è niente da fare, i paletti davanti a me sono stati tutti sradicati, da lì non posso più passare, sono come una formica a cui hanno interrotto la fila che stava seguendo, ora sono disorientato e senza riferimenti. Questo, però, non me l´ha spiegato il neurologo dell´Asl, ma l´ho appreso da Piero Angela in una puntata di Quark. Non mi resta che tornare indietro, ripercorrerò a ritroso la strada che avevo fatto. Ma a mia insaputa un secondo gruppo di operai ha iniziato a distruggere il marciapiedi dietro di me, ora avanzano inesorabili dai due lati. Mi avvinghio all´ultimo paletto come a una scialuppa di salvataggio, gli operai non si spiegano il mio atteggiamento, aspettano che io mi sposti da quella zolla d´asfalto per completare l´opera. Difendo quel paletto con le unghia e con i denti, urlo e bestemmio affinché nessuno s´avvicini alla mia isola. Uno degli operai va a parlare con il caposquadra, una volta informato della vicenda l´uomo s´avvicina a me con piglio calmo ma deciso. Il caposquadra è un uomo sulla cinquantina, indossa anche lui una tuta e in mano regge la piantina del sottosuolo e una penna a sfera. L´uomo ha un comportamento strano, schiaccia continuamente il pulsante della penna, lo fa prima in modo casuale poi in modo ritmico, come se quella cadenza gli procurasse una sorta di estasi, rendendolo più calmo e posato. Non c´è dubbio, è anche lui un ossessivo-compulsivo, un Doc. Lo guardo come se lo implorassi, lui annuisce come se capisse, in fin dei conti noi ossessivi-compulsivi ci riconosciamo a vista, e come se fossimo dotati di un sesto senso che permette l´individuazione di un nostro simile. Questo non me l´ha insegnato nessuno, ho creato da solo l´associazione. L´uomo si volta e dà ordine agli operai di rimettere i paletti davanti a me, sono salvo, ora posso completare il mio giro. Prima di allontanarmi ringrazio colui che mi ha offerto quella via d´uscita. Alla fine del corso Protopisani giro per via Alveo artificiale, lì i paletti sono caldi perché baciati dal sole. Mentre li tocco avidamente sento riecheggiare nell´aria il rumore assordante di un martello pneumatico, e sono ancora felice.

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