Quando la libidine prende il possesso è tremendo tenersi a bada. Quasi un delitto non lasciarsi andare. Io per me avevo cercato di tenermi anche, sulle mie dico, ma quando sei lì col sangue alla testa non ti puoi fermare. Perdi il senso minimo di responsabilità.
Al veglione di natale ero fatto. Il vino e il cibo abbuffato m’avevano stravolto. All’ultimo brindisi m’alzai da tavola e andai in una camera. Tirai per terra i pastrani dal letto e mi stesi sul letto addormentandomi immediatamente.
Poi.
La porta si schiuse. Era buio. Una sagoma mi s’avvicinò. Il letto sobbalzò di schianto. Respirai un buon profumo di donna. La camicetta nera, aperta fino al petto. Un filo di perle bianche le cascava tra i seni. Capelli lisci, curati.
«Mmmhhh», fece.
Era Vera Mulotova, la donna del padrone di casa. Castellammare aveva avuto una sorprendente immigrazione di gente dell’est. Ucraini e polacchi la maggior parte. Le ragazze più carine non avevano avuto problemi ad accasarsi compiendo il salto di qualità. Il resto si divideva tra manovali, colf, e tutti quei lavori che noialtri avevamo schifato.
«Vera hai un profumo molto eccitante.»
Era ubriaca. Manteneva gli occhi chiusi. Mi passò la mano sul viso andando a tentoni e fece di nuovo: «Mmmhhh.»
M’avvicinai a lei.
Eravamo faccia a faccia distesi di lato. Respirai profondamente il suo profumo ed ebbi un’erezione violenta, spudorata. Il suo era più che mai un richiamo sessuale. Agii. La baciai. Lei si rivoltò sul letto, mettendosi supina. Le aprii la bocca e le ficcai la lingua dentro. A lei piaceva. Le infilai la mano sotto la gonna. Indossava i collant, faticai un po’ per arrivare alla fossa. Le sfrucugliai il grilletto. Vera era una donna carnale.
«Mmmhhh, Santiago cosa stai facendo?»
«Voglio scoparti, e credo che anche tu lo vuoi.»
«Ma di lì c’è il mio uomo, non ti vergogni?»
«A me non importa, importa solo scoparti.»
«Sei un porco!», disse alzando la voce.
Io continuavo.
«Sei un porco!», rifece.
Allora le menai su con veemenza le dita su.
«Sei un porc…!»
vera cominciò a dimenarsi e mi diede un paio di schiaffi.
La tenni ferma con una mano e con l’altra aprii la patta e lo cacciai di fuori.
«Ooohhh! Dio santo Dio! Ti prego non farlo.»
Le forzai la camicetta e le baciai la tetta. Era morbida e calda. Senza che le dicessi nulla Vera aveva cominciato a menarmelo su e giù.
Le guidai la testa e lo prese senza alcuna resistenza.
Che i satiri mi vengano in gloria se quella non era la sua arte!
Quando ne fui sazio me ne staccai a fatica e la spinsi sul letto.
Le dischiusi piano le cosce, il vestito da sera fuori posto, la camicetta slacciata. Vera aveva un volto tremendamente eccitato. Restammo per un attimo così, distanti un palmo. Io, in ginocchio con un’erezione enorme. Lei, in fremente attesa con le braccia a penzoloni dal letto.
«Ti prego, non farlo.»
Tirai giù i collant a sufficenza per farmi spazio. Spostai la mutandina, ed entrai. Così, di schianto.
Vera emise un gemito che soffocò mordendosi le labbra per non urlare.
«Sei un porco, sei un porco, sei un maiale!»
Sussurrava una vocina godereccia. Un vocina arrapante. Vera Mulotova era la quintessenza dello stupro. I capelli, le tette, gli occhi, perfino i vestiti t’imploravano di chiavarla. Le afferrai le natiche e avviai a farglielo sentire sul serio. Vera si morse la mano.
Fermarci era impossibile. Anche se ci avessero scoperti non avremmo smesso prima d’esser venuti.
«Sto venendo!», disse lei.
«Porca troia anch’io sto venendo!»
Vera vibrò. Nel momento in cui fu al culmine diedi dei poderosi colpi di reni, e fu l’estasi.
I nostri corpi presi dalla libidine divennero incontrollabili. Continuammo a muoverci come tarantolati. Vera mormorò alcune parole in russo. Io gliene dissi un paio in napoletano.
A malincuore mi sganciai. Mi rassettai e andai al bagno ch’era in camera. Le ginocchia non mi reggevano. Tremavo tutto. Pisciai tenendomi con una mano alla parete per restare in piedi.
Mi pulii, uscii e mi sdraiai sul letto accanto a Vera, che intanto s’era assopita. Com’era bella.
La libidine fa perdere il controllo. Rischi di finire male. Certo. Se m’avessero sgamato, me la sarei vista brutta. Ma non provarci è come sciupare il pane.
Al veglione di natale ero fatto. Il vino e il cibo abbuffato m’avevano stravolto. All’ultimo brindisi m’alzai da tavola e andai in una camera. Tirai per terra i pastrani dal letto e mi stesi sul letto addormentandomi immediatamente.
Poi.
La porta si schiuse. Era buio. Una sagoma mi s’avvicinò. Il letto sobbalzò di schianto. Respirai un buon profumo di donna. La camicetta nera, aperta fino al petto. Un filo di perle bianche le cascava tra i seni. Capelli lisci, curati.
«Mmmhhh», fece.
Era Vera Mulotova, la donna del padrone di casa. Castellammare aveva avuto una sorprendente immigrazione di gente dell’est. Ucraini e polacchi la maggior parte. Le ragazze più carine non avevano avuto problemi ad accasarsi compiendo il salto di qualità. Il resto si divideva tra manovali, colf, e tutti quei lavori che noialtri avevamo schifato.
«Vera hai un profumo molto eccitante.»
Era ubriaca. Manteneva gli occhi chiusi. Mi passò la mano sul viso andando a tentoni e fece di nuovo: «Mmmhhh.»
M’avvicinai a lei.
Eravamo faccia a faccia distesi di lato. Respirai profondamente il suo profumo ed ebbi un’erezione violenta, spudorata. Il suo era più che mai un richiamo sessuale. Agii. La baciai. Lei si rivoltò sul letto, mettendosi supina. Le aprii la bocca e le ficcai la lingua dentro. A lei piaceva. Le infilai la mano sotto la gonna. Indossava i collant, faticai un po’ per arrivare alla fossa. Le sfrucugliai il grilletto. Vera era una donna carnale.
«Mmmhhh, Santiago cosa stai facendo?»
«Voglio scoparti, e credo che anche tu lo vuoi.»
«Ma di lì c’è il mio uomo, non ti vergogni?»
«A me non importa, importa solo scoparti.»
«Sei un porco!», disse alzando la voce.
Io continuavo.
«Sei un porco!», rifece.
Allora le menai su con veemenza le dita su.
«Sei un porc…!»
vera cominciò a dimenarsi e mi diede un paio di schiaffi.
La tenni ferma con una mano e con l’altra aprii la patta e lo cacciai di fuori.
«Ooohhh! Dio santo Dio! Ti prego non farlo.»
Le forzai la camicetta e le baciai la tetta. Era morbida e calda. Senza che le dicessi nulla Vera aveva cominciato a menarmelo su e giù.
Le guidai la testa e lo prese senza alcuna resistenza.
Che i satiri mi vengano in gloria se quella non era la sua arte!
Quando ne fui sazio me ne staccai a fatica e la spinsi sul letto.
Le dischiusi piano le cosce, il vestito da sera fuori posto, la camicetta slacciata. Vera aveva un volto tremendamente eccitato. Restammo per un attimo così, distanti un palmo. Io, in ginocchio con un’erezione enorme. Lei, in fremente attesa con le braccia a penzoloni dal letto.
«Ti prego, non farlo.»
Tirai giù i collant a sufficenza per farmi spazio. Spostai la mutandina, ed entrai. Così, di schianto.
Vera emise un gemito che soffocò mordendosi le labbra per non urlare.
«Sei un porco, sei un porco, sei un maiale!»
Sussurrava una vocina godereccia. Un vocina arrapante. Vera Mulotova era la quintessenza dello stupro. I capelli, le tette, gli occhi, perfino i vestiti t’imploravano di chiavarla. Le afferrai le natiche e avviai a farglielo sentire sul serio. Vera si morse la mano.
Fermarci era impossibile. Anche se ci avessero scoperti non avremmo smesso prima d’esser venuti.
«Sto venendo!», disse lei.
«Porca troia anch’io sto venendo!»
Vera vibrò. Nel momento in cui fu al culmine diedi dei poderosi colpi di reni, e fu l’estasi.
I nostri corpi presi dalla libidine divennero incontrollabili. Continuammo a muoverci come tarantolati. Vera mormorò alcune parole in russo. Io gliene dissi un paio in napoletano.
A malincuore mi sganciai. Mi rassettai e andai al bagno ch’era in camera. Le ginocchia non mi reggevano. Tremavo tutto. Pisciai tenendomi con una mano alla parete per restare in piedi.
Mi pulii, uscii e mi sdraiai sul letto accanto a Vera, che intanto s’era assopita. Com’era bella.
La libidine fa perdere il controllo. Rischi di finire male. Certo. Se m’avessero sgamato, me la sarei vista brutta. Ma non provarci è come sciupare il pane.
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