All’alba il posto non era bello, era bellissimo.
Verso le nove diventava abbastanza bello.
A mezzogiorno e mezza era una chiavica.
Emilio capì subito di aver fatto una sciocchezza, ma non poteva dimostrarlo senza chiamare in causa il paranormale così decise di restare. Fosse stato per lui avrebbe rifatto i bagagli quella mattina stessa ed avrebbe riconsegnato le chiavi di casa a Gaetano che secondo i suoi calcoli a quell’ora avrebbe dovuto trovarsi ancora avanti al bar. Ma tutti gli amici avevano scommesso su di lui, Gaetano aveva fatto anche di più, gli aveva affidato le chiavi della sua casa al mare: “Emì, fai tu, acqua calda, luce, gas, nun pensà a niente, nun t’ fa nessun problema!”. Per la verità quella di Gaetano non era una vera e propria casa a mare, era quasi una rimessa per barche, un garage esteso a livello spiaggia adattato mirabilmente a villino con tanto di stemma in ceramica sull’uscio: ”Villa Enrica”, la sorellina di Gaetano morta piccola. E la villina un po’ di macabro in effetti ce l’aveva, perché a scambiarla per villina marittima ci voleva più sfacciataggine che fantasia. La porta in ferro dipinta con l’antiruggine rossiccia la diceva lunga sul tipo di villa ma Gaetano ne andava così fiero (anche se non l’aveva mai adoperata). Il fatto che questi gliel’avesse messa a disposizione era un grande onore, rifiutare o schifarla sarebbe stato, più che un affronto, un colpo mortale all’autostima già precaria di Gaetano. Non poteva tornarsene subito.
Emilio era diventato una proiezione degli amici, una specie di delegato ad un riscatto collettivo, una sorta di cavaliere povero al quale la gleba del paese aveva confezionato armi ed armatura al costo di inenarrabili sacrifici purché li riscattasse dall’umiliazione e dalle vessazioni di un crudele drago.
E il drago in questione si chiamava Tina ma non sputava fuoco, al massimo sputava un pò di sangue quando nessuno la vedeva a causa di un ponte dentale difettoso che le tormentava le gengive.
Probabilmente Tina a 20 anni avrebbe potuto dire la sua in qualche concorso di bellezza da balera estiva ma a 21 anni aveva già un figlio, un marito mezzo balordo e tutt’altri cazzi per la testa.
La comitiva di Gaetano aveva adocchiato Tina quand’ella si trovava nello splendore dei suoi 40 anni. Era diventata una sorta di “Malena” rionale, solo che, a differenza di Monica Bellucci, era una tappa con dei tacchetti a spillo tirati all’inverosimile, le rughe mascherate alla bell’e meglio con dei cosmetici color terra di Siena e dei pantaloni elasticizzati che più che sostenere un ex culone lo modellavano in tutto e per tutto. Stesso dicasi per le tette, una quarta abbondante, mosce come un impasto crudo di pasta di pizza ma mirabilmente sagomate da un reggiseno rigido.
E poi il solito campionario: minigonne leopardate, calze scure con riga posteriore, calze a rete, rossi rossetti, capelli nerissimi, lucidissimi e sparpagliati, lampade fuori stagione, occhiali neri a forma di cuore, smalti rosso Ferrari, unghie da regina dei vampiri, stivali di plastica lucida, reggicalze a vista, tatuaggio sulla spalla, sulla caviglia, sulla tetta, insomma sembrava una puttana che a carnevale aveva deciso di mascherarsi da zoccola.
Erano passati 7 anni da quando le avevano posato per la prima volti gli occhi addosso e in tutto quel tempo non avevano fatto altro che raccogliere voci, informazioni e aneddoti su di lei: ovviamente tutti falsi. Nessuno conosceva l’origine di queste informazioni ma tutti giuravano sull’autenticità e sull’affidabilità delle fonti. “Mi ha detto uno….”, “ha detto quello”…”quello che lavora da…che la conosce…”, “uno che lavora con lei ha detto….”
Il quadro ufficiale che ne emergeva era il seguente:
Tina
Anni 36
Divorziata
Figlio avuto da una relazione con un animatore durante il viaggio di nozze
Amante occasionale di uomini ricchissimi provenienti da ovunque che spesso mandavano qualcuno a prelevarla per portarla in ville sfarzose dove si tenevano feste all’insegna del vizio
Amante fissa di un istruttore palestrato ex militare della legione straniera e titolare di un centro fitness molto chic
Probabile marchettara di alto bordo
Probabile cliente di gigolò provenienti da trasmissioni televisive Mediaset
Una volta si era chiavata un amico di un loro amico che aveva appena conosciuto al supermercato, lei gli aveva sorriso, lui l’aveva seguita…
L’unica cosa vera era che la tizia si chiamava Tina, per il resto:
aveva 47 anni,
era sposata e il marito era un nullafacente con una mezza pensione di invalidità,
aveva due figli di cui uno lavorava in un centro commerciale a 800 km di distanza e un altro aveva 12 anni entrambi avuti dal marito ed entrambi con la stessa faccia da ebete indolente del padre,
lavorava da una vecchia alla quale fregava anche soldi extra,
faceva saltuariamente le pulizie in un centro benessere per donne,
il marito si era beccato una malattia allucinante al cazzo e le aveva trasmesso una dio solo sa cosa che le aveva costellato l’interno della puchiacca di pustole e simil verruche che aveva dovuto farsi bruciare in ospedale e che continuavano a tormentarla (e che soprattutto le avevano tolto qualunque attrattiva verso il sesso e il genere maschile in particolare per questa e per almeno altre tre reincarnazioni).
L’equivoco era nato dal fatto che la signora Tina, incrociando Gaetano ed Emilio, al reparto scatolame del supermercato aveva sorriso a quest’ultimo avendolo scambiato per un commesso di Euronics che era stato così gentile con lei quando a Natale aveva avuto un problema col caricabatterie del telefonino.
“Emì, hai visto? T’ha guardato e t’ha fatto il sorrisetto”. Emilio annuì senza scomporsi, Gaetano lo guardò ammirato.
Quello era stato l’inizio di un periodo strano per Emilio.
Emilio era sempre stato il bello delle comitive di brutti ma questo comunque non gli aveva dato nessun vantaggio rispetto ai suoi amici. Le donne lo notavano nell’insieme, poi sentivano aria di sfiga e facevano di tutta la bruttezza un fascio. Gli capitava di andare a feste, locali, stabilimenti balneari, cineforum, posti pieni di gruppetti di ragazze sole e nemmeno tanto difficili da agganciare ma lui e “loro” rimanevano perennemente isolati. Eppure non erano ragazzi antipatici, erano anche affiatati e solidali e riuscivano, a modo loro, anche a divertirsi come quella comitiva di sfigati di uno spot della birra Dreher. Tante risate, anzi sorrisi, ma di donne nemmeno a parlarne.
Emilio aveva capito di essere di un’altra categoria e gli amici lo avevano capito ancora di più.
Lui non li avrebbe mai abbandonati ma gli amici sentivano che con la loro sfiga riflessa gli stavano tarpando le ali. Spesso a serata conclusa, se Emilio si era già ritirato a casa, rimanevano tra di loro a parlare di quest’argomento: “Emilio è proprio nu’ bello guaglione…Emilio è il tipo che se invece di stare qua stava a Rimini…Emilio se fosse nato a Roma…Emilio secondo me poteva fare pure l’attore… stanno tanti sciemi…un’amica di mia sorella lo ha visto e subito ha chiesto chi era…pure una quando andammo a quella festa a Novembre… ti ricordi quella che si avvicinava in continuazione…”.
La verità era che Emilio preferiva fare il bello potenziale.
Negli anni si era cosi disabituato a frequentare ragazze che il pensiero di dover concretizzare un corteggiamento lo spiazzava e lo sfiancava completamente. Talvolta capitava davvero che qualche mezza porzione di femmina gli si avvicinasse per approcciarlo ma Emilio terminava quasi subito gli argomenti di conversazione creando dei silenzi imbarazzanti intervallati da delle banalità degne di una massaia in ascensore.
Poi un giorno Emilio si svegliò e si sentì stranamente interessante.
Cominciò senza motivo a dedicare prima 10 poi 20 e poi 30 minuti al giorno alla forma fisica.
Rispolverò dall’armadio le camicie più birbanti che possedeva e che giacevano inutilizzate, cominciò a radersi col trilama o, in alternativa, a farsi crescere un velo di sbarba sbarazzino abbinandolo ad un occhiale da sole e ad una collana con ciondolo Inca: “Emì mi pari quello della Coca Cola Light!”, purtroppo questo complimento proveniva dal cassiere del supermercato ma comunque era meglio di niente, era segno che qualcosa si muoveva.
Per qualche mese Emilio si sentì come un cuoco che aveva avviato la preparazione di numerose ed elaborate pietanze e sentiva che tutte prima o poi sarebbero giunte a cottura, era solo una questione di pazienza. In realtà non è che queste sue ottimistiche previsioni si reggessero su alcunché di concreto, si trattava di sguardi, saluti, brandelli di conversazioni, appostamenti, sguardi ripetuti, forse cenni, incontri forse non casuali, inviti, coincidenze, sentiva che qualcosa era successo, qualcosa era cambiato, qualcosa che prima non c’era ora c’era.
E in effetti era vero, Emilio senza saperlo stava attraversando una fase comune a molti maschi eterosessuali, una fase che aveva anche una mezza spiegazione scientifica ufficiale ma che alcuni scienziati non ufficiali che di solito bivaccavano ai tavolini dei bar con vista mare avevano già formalizzato in una teoria cinicamente denominata “la migliorìa della morte”.
In pratica sembra che poco prima dei 40 l’organismo maschile faccia una bella scodata di entusiasmo, di ormoni e di gioventù. Praticamente Madre Natura fa una sorta di ultimo appello alla riproduzione e ti fornisce una specie di bonus di riserva immediatamente prima dell’inizio della vecchiaia per darti un ultima chance di riproduzione.
Anche gli amici si erano accorti di qualcosa, vedevano Emilio più tonico, più “figo”, insomma …più, pensarono all’unisono che forse per loro non c’era speranza ma quell’amico belloccio forse poteva riscattarli tutti, almeno moralmente.
Tutti capirono che Emilio era nel suo momento migliore e loro dovevano aiutarlo a trovarsi un varco per spararlo nell’orbita giusta prima che il pianeta femmina si riallontanasse per sempre.
Lo sguardo+sorriso della signora Tina al supermercato sembrò l’occasione che attendevano.
Gaetano che era stato un testimone diretto comunicò trafelato la notizia al resto del gruppo che subito decise di indire una riunione spontanea a casa di uno che aveva la casa libera, mascherandola da pizza tra amici.
Emilio giunse da solo e si fece attendere quel tanto che serviva a creare una tensione scenica da applauso. E in effetti gli amici lo accolsero proprio con un applauso, erano contenti come quegli italiani emigrati in Germani negli anni ‘70 ad un gol di Causio. Alcuni si erano fatti addirittura lo shampoo e la doccia e si erano improfumati, senza motivo.
La pizza venne divorata in un silenzio quasi religioso, poi si passò alle birre, poi ai gelati confezionati, quindi ai liquori e quando tutti furono più che brilli si diede il via ad una delle riunioni più intense (ed infondate) dai tempi del progetto Manhattan.
Parlarono tutti, ognuno rispolverò degli aneddoti (falsi) arcinoti sulla signora Tina. I “secondo me dovresti…” si sprecavano, Emilio ascoltava tutti ed annuiva con una pazienza ed una compostezza istituzionale.
Quando toccò a Gaetano parlare l’atmosfera divenne solenne e ci fu quasi della commozione quando questi consegno ad Emilio le chiavi di “villa Enrica”.
“Gaetà addirittura le chiavi”, disse stupito Emilio, “aspettiamo prima che mi dia almeno n’appuntamento!”. Gaetano fece un sorrisino ironico e poi si rivolse ai commensali che avevano lo stesso sorriso ironico stampato sulla faccia, tutti tranne Emilio. “Guagliù”, disse Gaetano, “glielo dite voi o glielo dico io”.
I commensali fecero un cenno di assenso a Gaetano che svuotò il limoncello e con tono trionfante sganciò su Emilio la bomba: “lo sai dove si va a fare i bagni quest’estate la signora Tina?” E gli lanciò le chiavi. Emilio lo guardò allibito: “ma veramente Gaetà?”.
Gaetano si riempì l’ennesimo bicchierino di carta di limoncello, fece una pausa studiata: “la signora Basso, che è crescita con mia mamma, le ha fittato la casa a scarsi 300 metri dalla mia. Va solo essa e a’ mamma vecchia”.
Emilio guardò il portachiavi di “villa Enrica” a forma di coppa dei campioni con lo stemma del Milan e pensò che forse con un pò di fortuna avrebbe potuto farle anche un filmino col cellulare mentre se la chiavava. Espose quest’idea agli amici con una punta di imbarazzo, uno di loro disse che forse poteva farsi prestare la telecamera digitale da una sua sorella sposata.
Incredibilmente l’informazione raccolta da Gaetano era vera, anzi era l’unica informazione vera che avessero mai raccolto sulla signora Tina. A voler essere pignoli però c’era da dire che in effetti la signora Tina non si sarebbe recata in quella casupola di mare per vacanze e che la vecchia al seguito non era sua madre. In pratica si trattava di una “cliente” alla quale lei faceva da badante.
Questa era una vecchia benestante (che in molte province del meridione vuol dire avere un reddito di 1.800 euro al mese) con delle patetiche manie di grandezza che per distinguersi dalle altre Marie Callas delle case popolari si era scelta una badante italiana. Inoltre non si era accontentata di una cabina in uno stabilimento cittadino ma aveva addirittura fittato quella che definiva una “villa al mare, in un posto stupendo con spiaggia privata e acqua veramente pulita a tipo Sardegna”.
Applicando la tara della realtà la “villa al mare” si rivelava una appartamento fatiscente di un ex condominio di ex pescatori, mezzo pericolante e con servizi igienici da far tremare i polsi e il “posto stupendo a tipo Sardegna” si trovava a 30Km circa dagli stabilimenti balneari cittadini (che se non altro avevano il pregio di offrire docce e bar a portata di mano e soprattutto a livello del mare). La spiaggia della simil Sardegna invece non aveva infatti nessun servizio igienico disponibile che non fosse uno di quelli presenti nelle case private circostanti e per quanto riguardava i servizi di ristorazione non c’era niente che fosse possibile raggiungere dalla spiaggia senza un deltaplano a motore.
La millantata spiaggia privata era una ciottolaia piena di merde di cane e di uomo, preservativi usati e vetri spaccati. L’acqua era effettivamente limpida a volte anche per un paio d’ore dopo l’alba, ma man mano che ci si avvicinava a degli orari più consoni ad una villeggiatura che a una battuta di pesca subacquea l’acqua si trasformava inesorabilmente in un minestrone variegato a base di rifiuti liquidi e solidi tra i più disparati.
La vecchia costringeva la signora Tina a trascinarsi una sedia a sdraio con telaio in legno pesantissimo proveniente direttamente dall’artigianato degli anni ’60, unitamente ad un ombrellone, a un borsone frigorifero e ad un borsone porta cosmetici riempito all’inverosimile di medicinali, creme, bigodini, spazzole e ventagli.
“Posso aiutarla”, fece Emilio scegliendo il miglior timbro di voce disponibile, “ah grazie”, rispose immediatamente la signora Tina che aveva cominciato a sudare e a bestemmiare mentalmente, sfiancata dal peso di quelle cianfrusaglie. La vecchia che la precedeva di qualche metro si girò per vedere cosa stesse accadendo alle sue spalle, “chi è questo giovane, che vuole?” gracchiò la vecchia acida all’indirizzo della signora Tina, “e’ n’amico mio signò nun v’ preoccupate, è gentile c’sta aiutann”. Emilio fu un po’ sorpreso da quell’accento sguaiato ma apprezzò il fatto che la signora Tina lo considerasse già un amico. In realtà la signora Tina non aveva la minima idea di chi cazzo fosse Emilio, non lo aveva nemmeno riconfuso col commesso di Euronics, era solo stanca sia fisicamente e soprattutto moralmente ed avrebbe accettato l’aiuto di chiunque. Consegnò ad Emilio l’intero carico di cianfrusaglie e riprese a camminare sculettando e bestemmiando a bassa voce tutti i morti della vecchia. Emilio notò che portava i tacchi a spillo che non erano propriamente la cosa migliore da indossare su una spiaggia infestata da ciottoli maligni. Inoltre notò che la signora aveva le gambe semidevastate dalla cellulite e dalle vene varicose. Indossava un perizoma da mercatino avvolto da un foulard leopardato semitrasparente, una canottiera a rete nera da baldracca e portava un cappellone rosa acceso leggermente sbiadito e consumato.
Emilio si sentì subito messo in mezzo e avrebbe voluto abbandonare il carico e fuggire come uno di quei soldati che disertavano una guerra già persa, ma come spiegarlo agli amici? Nessuno di loro aveva un’estate da vivere, se anche Emilio rinunciava alla sua era la fine per tutti. Si sarebbe profilata un’estate ancora più triste di quella del 2002: l’Italia umiliata ai mondiali, Gaetano licenziato, Rino operato d’urgenza di peritonite, Emilio scartato alla selezione degli animatori in un villaggio in Calabria (quando ormai sembrava cosa fatta).
Cominciò ad analizzare la situazione cercando di mettere a fuoco tutti gli aspetti positivi, ma più osservava la signora Tina da vicino e più gli sembrava di aver a che fare con una cessa volgare e probabilmente anche ladra.
Giunsero alla spiaggia di ciottoli che i muscoli delle braccia gli bruciavano.
La vecchia diede disposizioni su dove piazzare la sedia e l’ombrellone. Data la natura del terreno era impossibile tenere la sedia in piano o piantare un ombrellone da sabbia. La vecchia non volle saperne. Emilio passò una mezz’ora imbarazzante a sudare e ad arrancare con sedia e ombrellone mentre la vecchia lo incalzava da tergo con commenti offensivi. Tina osservava la scena come se non fossero cazzi suoi, rovistò in una borsetta da sera che aveva appresso e cacciò una sigaretta sbilenca che si accese tra una bestemmia e un’altra.
Emilio si chiedeva perché bestemmiasse tanto e se lui in qualche modo c’entrasse qualcosa.
La vecchia sprofondò nella sedia a sdraio e cominciò a soffiarsi con un ventaglio senza degnare Emilio né di uno sguardo né tantomeno di un grazie. Tina distese un asciugamano di marca scolorito su quel terreno frattale e adagiò le sue grazie flosce con la leggiadrìa di una medusa morta.
Cominciò ad ungersi d’olio all’inverosimile, slacciò il foulard copriperizoma e se lo attaccò in testa a tipo bandana, poi si stravaccò all’indietro, inforcò un paio di occhiali scurissimi e allargò le gambe come se stesse partorendo. Sembrava volesse abbronzarsi l’interno del buco del culo o qualcosa del genere. Emilio rimase perplesso sul da farsi, poi srotolò anche lui il suo asciugamano e si sistemò a pochi metri dalla signora Tina. Per quasi un’ora non successe niente poi improvvisamente la signora Tina voltò la testa in direzione di Emilio: “giovane cortesemente mi volete andare a prendere una cosa da bere?”. Emilio annuì, “che volete signora?”, “maaahhh…una birra, una nastra azzura”, “comunque mi chiamo Emilio”, “ah, piacere Tina”.
Emilio si issò in piedi, si rimise il pantaloncino e si avviò verso un qualcosa che nemmeno lui sapeva dove o cosa fosse. “ERSILIO”, urlò la signora Tina, “vedi se tengono quella grande, no quella piccola, hai capito? nastra azzurra!”. Erano le 10 e mezza scarse, Emilio provò ad immaginare che tipo di persona fosse una che sentiva il bisogno di scolarsi a colazione quasi un litro di birra al posto di cappuccino e cornetto. Camminava come intontito dall’imputridimento progressivo della situazione, chiedendosi come ci fosse finito e perché non riuscisse a tirarsene fuori. C’era una specie di aberrato senso del dovere che lo spingeva a continuare o almeno a far finta di continuare quella sottospecie di avventura galante scaturita da una loro allucinazione collettiva. Ma che cazzo avevano visto, ma come cazzo avevano fatto a scambiare quella baldracca semialcolizzata per la donna dei loro sogni proibiti?
Oddio per la verità le donne avevano questa singolare caratteristica, a volte sembrava che non avessero una identità fisica reale ma che assumessero le caratteristiche in base a delle proiezioni inconsce dell’osservatore. In parole povere un cesso poteva diventare attraente o ancora più cesso a seconda delle possibilità (e del tipo di possibilità) che avevi di interagire con lei. Forse si trattava di una qualche bizzarra legge di meccanica quantistica in grado di influenzare sistemi macroscopici o, più semplicemente, era uno dei tanti modi con i quali Dio si divertiva a torturare alcuni.
Non so se anche in questo caso la colpa fosse di Dio ma sicuramente ubicare la prima bottiglia di “nastra azzurra” da ¾ disponibile a circa un kilometro in salita dalla zona spiaggia era una bella bastardata.
Emilio tornò dalla signora Tina sudato da fare schifo. La signora gettò per terra il bicchiere di carta capovolto che fungeva da tappo provvisorio della birra e attaccò a bere a canna. Diede due sorsi, al terzo si interruppe e chiese ad Emilio se ne voleva un poco. Emilio scosse la testa e si mise a sedere rassegnato sul suo asciugamano. A metà bottiglia la signora gli rivolse la parola chiamandolo “giovane” e dandogli del voi, cominciò a biascicare domande seminsensate, di cui una fu interrotta da un rutto soffocato. Emilio rispondeva a monosillabi.
Alla fine della bottiglia la signora Tina cominciò a dare moderatamente i numeri, rispose male un paio di volte alla vecchia che le gracchiava ordini incomprensibili e poi decise di andarsi a dare una sciacquata nel mare che cominciava moderatamente ad insozzarsi.
Emilio la seguì più che altro per il timore che la vecchia lo scambiasse per un aiuto badante e lo mandasse a fare la spesa o gli chiedesse di montare una veranda vista mare.
La signora Tina si tuffò con cappello ed occhiali, perse entrambi e bestemmiò nitidamente Gesù Cristo. Emilio le recuperò tutte e due gli oggetti e quando la signora constatò che il cappello si era (ovviamente) bagnato bestemmiò nuovamente Cristo attribuendogli stavolta contemporaneamente sia le corna (da parte di un’improbabile coniuge) sia un’indole omosessuale piuttosto smaccata. Emilio avrebbe voluto fare una battuta su Dan Brown e il codice Da Vinci ma riteneva poco probabile che la signora Tina lo avesse letto, visto o che ne avesse semplicemente sentito parlare.
Gaetano invece l’aveva letto e si era appassionato all’argomento, aveva anche un paio di DVD con tanto di documenti allegati, guide, mappe etc… Non si era perso una sola trasmissione sull’argomento ed una sera li aveva costretti tutti a guardare un talk show interminabile dove dei coglioni molto autorevoli si accapigliavano su un segreto che aveva attraversato i secoli dei secoli, passando dagli Esseni ai templari, alle SS fino a giungere alle casalinghe.
Risalirono in spiaggia, la signora Tina trovò il tempo di mandare affanculo un bambino che l’aveva urtata con un giocattolo gigante di plastica che riproduceva una cannone al plasma (e che doveva costare altrettanto). Non si era accorta di aver incrociato una rissa tra Dragon ball, ninja, wrestler WWF e qualche marines spaziale impersonati da bambini drammaticamente simili tra di loro. Erano tutti obesi, isterici ed effeminati. Avevano dei tatuaggi posticci e fingevano di massacrarsi sotto gli occhi compiaciuti dei genitori maschi che interpretavano quelle esplosioni isteriche da eunuchi viziati come irrefrenabile ardimento virile. I genitori li vestivano a tipo rappers, con tanto di acconciature da pugili di colore e gli garantivano tutti i moderni gadget di conforto che la tecnologia forniva a scadenza semestrale. Lettori di mp3, playstation portatili, cellulari con videocamera, memoria da paura e software dedicato per il montaggio video. Presto questi giovani spartani sarebbero divenuti preda di bulli, pupe e figli di lavavetri che li avrebbero nell’ordine picchiati, spolpati, derubati e (con un po’ di fortuna) anche sodomizzati. I genitori ignari della tragedia imminente avrebbero continuato a rimpinzarli di attenzioni, tecnologia e grassi idrogenati e sarebbero rimasti nell’irremovibile convinzione di stare allevando dei rampolli virili come Rocco Siffredi, intraprendenti come Briatore e grintosi come Gattuso. Per il momento più che a John Cena i rampolli assomigliavano a Maria Giovanna Maglie ma i genitori contavano sul fatto che “…ancora non avevano fatto lo sviluppo”. Uno dei padri in questione, che aveva udito in maniera nitida il vaffanculo pronunciato dalla signora Tina all’indirizzo del figlio aspirante Marine, si era avvicinato con fare minaccioso per chiederle spiegazione proprio mentre l’effetto dell’alcool mattutino raggiungeva l’apice nella testa di costei. La signora Tina sfoggiò termini, offese e minacce che poteva aver imparato solo in una casa circondariale, l’aria si fece tesa e imbarazzante, Emilio era una statua di sale. Per fortuna la cosa si chiuse lì anche perché uno dei virili virgulti come annusò l’aria tesa di una vera rissa imminente cominciò a piangere, a tremare e a pisciarsi letteralmente addosso per la paura. L’assemblea si sciolse di fronte a quello spettacolo increscioso. Tornarono tutti a sedere, compresi Tina ed Emilio. Passò un quarto d’ora e l’acqua di mare sporco cominciò a fare il suo effetto sull’infezione vaginale della signora Tina, la quale cominciò a grattarsi senza ritegno alcuno sotto gli occhi allibiti di Emilio. La signora si grattava ed imprecava contro il marito e più in generale contro tutto il genere maschile assimilandolo sommariamente ad una varietà di suino sodomizzatore miracolosamente generato da una bizzarra varietà di scimmie africane denominata “scigna puttana”.
In quel momento squillò il cellulare di Emilio, era Gaetano: ”capitano tuttapposto?, l’hai vista?”, “si”, rispose Emilio con tono glaciale. Gaetano ovviamente fraintese, “Emì ma che non puoi parlà? Ma che ‘a signora sta là?”, “Si”, ribadì Emilio (ribadendo il tono glaciale). “Madonna Emì lo sapevo, sei un grande…vai…vai!nun t’ voglio romp’ o cazz, grande Emilio, facci sognare!” e riattaccò.
Emilio fece i bagagli nemmeno un’ora dopo, quando Gaetano e i ragazzi se lo videro arrivare quel pomeriggio stesso sotto al bar con le chiavi in mano e un espressione tesa ebbero quasi un mancamento corale.
Sarebbe stata un estate peggiore del 2002, lo intuirono tutti.
Quando tornò a casa la madre lo guardò stupita: “Emì ma non eri andato in villeggiatura?”
“Quest’estate forse non vado a mare”
“Come non vai a mare Emì e che fai? Ti stai a casa?, vai in montagna, dove…”
Emilio non l’ascoltava già più, entrò nel salone, si tolse le scarpe, spinse uno sgabello con un piede davanti alla poltrona e sprofondò in quest’ultima. Allungò i piedi sullo sgabello, afferrò il telecomando e cominciò ad invecchiare, senza scrupoli.
Verso le nove diventava abbastanza bello.
A mezzogiorno e mezza era una chiavica.
Emilio capì subito di aver fatto una sciocchezza, ma non poteva dimostrarlo senza chiamare in causa il paranormale così decise di restare. Fosse stato per lui avrebbe rifatto i bagagli quella mattina stessa ed avrebbe riconsegnato le chiavi di casa a Gaetano che secondo i suoi calcoli a quell’ora avrebbe dovuto trovarsi ancora avanti al bar. Ma tutti gli amici avevano scommesso su di lui, Gaetano aveva fatto anche di più, gli aveva affidato le chiavi della sua casa al mare: “Emì, fai tu, acqua calda, luce, gas, nun pensà a niente, nun t’ fa nessun problema!”. Per la verità quella di Gaetano non era una vera e propria casa a mare, era quasi una rimessa per barche, un garage esteso a livello spiaggia adattato mirabilmente a villino con tanto di stemma in ceramica sull’uscio: ”Villa Enrica”, la sorellina di Gaetano morta piccola. E la villina un po’ di macabro in effetti ce l’aveva, perché a scambiarla per villina marittima ci voleva più sfacciataggine che fantasia. La porta in ferro dipinta con l’antiruggine rossiccia la diceva lunga sul tipo di villa ma Gaetano ne andava così fiero (anche se non l’aveva mai adoperata). Il fatto che questi gliel’avesse messa a disposizione era un grande onore, rifiutare o schifarla sarebbe stato, più che un affronto, un colpo mortale all’autostima già precaria di Gaetano. Non poteva tornarsene subito.
Emilio era diventato una proiezione degli amici, una specie di delegato ad un riscatto collettivo, una sorta di cavaliere povero al quale la gleba del paese aveva confezionato armi ed armatura al costo di inenarrabili sacrifici purché li riscattasse dall’umiliazione e dalle vessazioni di un crudele drago.
E il drago in questione si chiamava Tina ma non sputava fuoco, al massimo sputava un pò di sangue quando nessuno la vedeva a causa di un ponte dentale difettoso che le tormentava le gengive.
Probabilmente Tina a 20 anni avrebbe potuto dire la sua in qualche concorso di bellezza da balera estiva ma a 21 anni aveva già un figlio, un marito mezzo balordo e tutt’altri cazzi per la testa.
La comitiva di Gaetano aveva adocchiato Tina quand’ella si trovava nello splendore dei suoi 40 anni. Era diventata una sorta di “Malena” rionale, solo che, a differenza di Monica Bellucci, era una tappa con dei tacchetti a spillo tirati all’inverosimile, le rughe mascherate alla bell’e meglio con dei cosmetici color terra di Siena e dei pantaloni elasticizzati che più che sostenere un ex culone lo modellavano in tutto e per tutto. Stesso dicasi per le tette, una quarta abbondante, mosce come un impasto crudo di pasta di pizza ma mirabilmente sagomate da un reggiseno rigido.
E poi il solito campionario: minigonne leopardate, calze scure con riga posteriore, calze a rete, rossi rossetti, capelli nerissimi, lucidissimi e sparpagliati, lampade fuori stagione, occhiali neri a forma di cuore, smalti rosso Ferrari, unghie da regina dei vampiri, stivali di plastica lucida, reggicalze a vista, tatuaggio sulla spalla, sulla caviglia, sulla tetta, insomma sembrava una puttana che a carnevale aveva deciso di mascherarsi da zoccola.
Erano passati 7 anni da quando le avevano posato per la prima volti gli occhi addosso e in tutto quel tempo non avevano fatto altro che raccogliere voci, informazioni e aneddoti su di lei: ovviamente tutti falsi. Nessuno conosceva l’origine di queste informazioni ma tutti giuravano sull’autenticità e sull’affidabilità delle fonti. “Mi ha detto uno….”, “ha detto quello”…”quello che lavora da…che la conosce…”, “uno che lavora con lei ha detto….”
Il quadro ufficiale che ne emergeva era il seguente:
Tina
Anni 36
Divorziata
Figlio avuto da una relazione con un animatore durante il viaggio di nozze
Amante occasionale di uomini ricchissimi provenienti da ovunque che spesso mandavano qualcuno a prelevarla per portarla in ville sfarzose dove si tenevano feste all’insegna del vizio
Amante fissa di un istruttore palestrato ex militare della legione straniera e titolare di un centro fitness molto chic
Probabile marchettara di alto bordo
Probabile cliente di gigolò provenienti da trasmissioni televisive Mediaset
Una volta si era chiavata un amico di un loro amico che aveva appena conosciuto al supermercato, lei gli aveva sorriso, lui l’aveva seguita…
L’unica cosa vera era che la tizia si chiamava Tina, per il resto:
aveva 47 anni,
era sposata e il marito era un nullafacente con una mezza pensione di invalidità,
aveva due figli di cui uno lavorava in un centro commerciale a 800 km di distanza e un altro aveva 12 anni entrambi avuti dal marito ed entrambi con la stessa faccia da ebete indolente del padre,
lavorava da una vecchia alla quale fregava anche soldi extra,
faceva saltuariamente le pulizie in un centro benessere per donne,
il marito si era beccato una malattia allucinante al cazzo e le aveva trasmesso una dio solo sa cosa che le aveva costellato l’interno della puchiacca di pustole e simil verruche che aveva dovuto farsi bruciare in ospedale e che continuavano a tormentarla (e che soprattutto le avevano tolto qualunque attrattiva verso il sesso e il genere maschile in particolare per questa e per almeno altre tre reincarnazioni).
L’equivoco era nato dal fatto che la signora Tina, incrociando Gaetano ed Emilio, al reparto scatolame del supermercato aveva sorriso a quest’ultimo avendolo scambiato per un commesso di Euronics che era stato così gentile con lei quando a Natale aveva avuto un problema col caricabatterie del telefonino.
“Emì, hai visto? T’ha guardato e t’ha fatto il sorrisetto”. Emilio annuì senza scomporsi, Gaetano lo guardò ammirato.
Quello era stato l’inizio di un periodo strano per Emilio.
Emilio era sempre stato il bello delle comitive di brutti ma questo comunque non gli aveva dato nessun vantaggio rispetto ai suoi amici. Le donne lo notavano nell’insieme, poi sentivano aria di sfiga e facevano di tutta la bruttezza un fascio. Gli capitava di andare a feste, locali, stabilimenti balneari, cineforum, posti pieni di gruppetti di ragazze sole e nemmeno tanto difficili da agganciare ma lui e “loro” rimanevano perennemente isolati. Eppure non erano ragazzi antipatici, erano anche affiatati e solidali e riuscivano, a modo loro, anche a divertirsi come quella comitiva di sfigati di uno spot della birra Dreher. Tante risate, anzi sorrisi, ma di donne nemmeno a parlarne.
Emilio aveva capito di essere di un’altra categoria e gli amici lo avevano capito ancora di più.
Lui non li avrebbe mai abbandonati ma gli amici sentivano che con la loro sfiga riflessa gli stavano tarpando le ali. Spesso a serata conclusa, se Emilio si era già ritirato a casa, rimanevano tra di loro a parlare di quest’argomento: “Emilio è proprio nu’ bello guaglione…Emilio è il tipo che se invece di stare qua stava a Rimini…Emilio se fosse nato a Roma…Emilio secondo me poteva fare pure l’attore… stanno tanti sciemi…un’amica di mia sorella lo ha visto e subito ha chiesto chi era…pure una quando andammo a quella festa a Novembre… ti ricordi quella che si avvicinava in continuazione…”.
La verità era che Emilio preferiva fare il bello potenziale.
Negli anni si era cosi disabituato a frequentare ragazze che il pensiero di dover concretizzare un corteggiamento lo spiazzava e lo sfiancava completamente. Talvolta capitava davvero che qualche mezza porzione di femmina gli si avvicinasse per approcciarlo ma Emilio terminava quasi subito gli argomenti di conversazione creando dei silenzi imbarazzanti intervallati da delle banalità degne di una massaia in ascensore.
Poi un giorno Emilio si svegliò e si sentì stranamente interessante.
Cominciò senza motivo a dedicare prima 10 poi 20 e poi 30 minuti al giorno alla forma fisica.
Rispolverò dall’armadio le camicie più birbanti che possedeva e che giacevano inutilizzate, cominciò a radersi col trilama o, in alternativa, a farsi crescere un velo di sbarba sbarazzino abbinandolo ad un occhiale da sole e ad una collana con ciondolo Inca: “Emì mi pari quello della Coca Cola Light!”, purtroppo questo complimento proveniva dal cassiere del supermercato ma comunque era meglio di niente, era segno che qualcosa si muoveva.
Per qualche mese Emilio si sentì come un cuoco che aveva avviato la preparazione di numerose ed elaborate pietanze e sentiva che tutte prima o poi sarebbero giunte a cottura, era solo una questione di pazienza. In realtà non è che queste sue ottimistiche previsioni si reggessero su alcunché di concreto, si trattava di sguardi, saluti, brandelli di conversazioni, appostamenti, sguardi ripetuti, forse cenni, incontri forse non casuali, inviti, coincidenze, sentiva che qualcosa era successo, qualcosa era cambiato, qualcosa che prima non c’era ora c’era.
E in effetti era vero, Emilio senza saperlo stava attraversando una fase comune a molti maschi eterosessuali, una fase che aveva anche una mezza spiegazione scientifica ufficiale ma che alcuni scienziati non ufficiali che di solito bivaccavano ai tavolini dei bar con vista mare avevano già formalizzato in una teoria cinicamente denominata “la migliorìa della morte”.
In pratica sembra che poco prima dei 40 l’organismo maschile faccia una bella scodata di entusiasmo, di ormoni e di gioventù. Praticamente Madre Natura fa una sorta di ultimo appello alla riproduzione e ti fornisce una specie di bonus di riserva immediatamente prima dell’inizio della vecchiaia per darti un ultima chance di riproduzione.
Anche gli amici si erano accorti di qualcosa, vedevano Emilio più tonico, più “figo”, insomma …più, pensarono all’unisono che forse per loro non c’era speranza ma quell’amico belloccio forse poteva riscattarli tutti, almeno moralmente.
Tutti capirono che Emilio era nel suo momento migliore e loro dovevano aiutarlo a trovarsi un varco per spararlo nell’orbita giusta prima che il pianeta femmina si riallontanasse per sempre.
Lo sguardo+sorriso della signora Tina al supermercato sembrò l’occasione che attendevano.
Gaetano che era stato un testimone diretto comunicò trafelato la notizia al resto del gruppo che subito decise di indire una riunione spontanea a casa di uno che aveva la casa libera, mascherandola da pizza tra amici.
Emilio giunse da solo e si fece attendere quel tanto che serviva a creare una tensione scenica da applauso. E in effetti gli amici lo accolsero proprio con un applauso, erano contenti come quegli italiani emigrati in Germani negli anni ‘70 ad un gol di Causio. Alcuni si erano fatti addirittura lo shampoo e la doccia e si erano improfumati, senza motivo.
La pizza venne divorata in un silenzio quasi religioso, poi si passò alle birre, poi ai gelati confezionati, quindi ai liquori e quando tutti furono più che brilli si diede il via ad una delle riunioni più intense (ed infondate) dai tempi del progetto Manhattan.
Parlarono tutti, ognuno rispolverò degli aneddoti (falsi) arcinoti sulla signora Tina. I “secondo me dovresti…” si sprecavano, Emilio ascoltava tutti ed annuiva con una pazienza ed una compostezza istituzionale.
Quando toccò a Gaetano parlare l’atmosfera divenne solenne e ci fu quasi della commozione quando questi consegno ad Emilio le chiavi di “villa Enrica”.
“Gaetà addirittura le chiavi”, disse stupito Emilio, “aspettiamo prima che mi dia almeno n’appuntamento!”. Gaetano fece un sorrisino ironico e poi si rivolse ai commensali che avevano lo stesso sorriso ironico stampato sulla faccia, tutti tranne Emilio. “Guagliù”, disse Gaetano, “glielo dite voi o glielo dico io”.
I commensali fecero un cenno di assenso a Gaetano che svuotò il limoncello e con tono trionfante sganciò su Emilio la bomba: “lo sai dove si va a fare i bagni quest’estate la signora Tina?” E gli lanciò le chiavi. Emilio lo guardò allibito: “ma veramente Gaetà?”.
Gaetano si riempì l’ennesimo bicchierino di carta di limoncello, fece una pausa studiata: “la signora Basso, che è crescita con mia mamma, le ha fittato la casa a scarsi 300 metri dalla mia. Va solo essa e a’ mamma vecchia”.
Emilio guardò il portachiavi di “villa Enrica” a forma di coppa dei campioni con lo stemma del Milan e pensò che forse con un pò di fortuna avrebbe potuto farle anche un filmino col cellulare mentre se la chiavava. Espose quest’idea agli amici con una punta di imbarazzo, uno di loro disse che forse poteva farsi prestare la telecamera digitale da una sua sorella sposata.
Incredibilmente l’informazione raccolta da Gaetano era vera, anzi era l’unica informazione vera che avessero mai raccolto sulla signora Tina. A voler essere pignoli però c’era da dire che in effetti la signora Tina non si sarebbe recata in quella casupola di mare per vacanze e che la vecchia al seguito non era sua madre. In pratica si trattava di una “cliente” alla quale lei faceva da badante.
Questa era una vecchia benestante (che in molte province del meridione vuol dire avere un reddito di 1.800 euro al mese) con delle patetiche manie di grandezza che per distinguersi dalle altre Marie Callas delle case popolari si era scelta una badante italiana. Inoltre non si era accontentata di una cabina in uno stabilimento cittadino ma aveva addirittura fittato quella che definiva una “villa al mare, in un posto stupendo con spiaggia privata e acqua veramente pulita a tipo Sardegna”.
Applicando la tara della realtà la “villa al mare” si rivelava una appartamento fatiscente di un ex condominio di ex pescatori, mezzo pericolante e con servizi igienici da far tremare i polsi e il “posto stupendo a tipo Sardegna” si trovava a 30Km circa dagli stabilimenti balneari cittadini (che se non altro avevano il pregio di offrire docce e bar a portata di mano e soprattutto a livello del mare). La spiaggia della simil Sardegna invece non aveva infatti nessun servizio igienico disponibile che non fosse uno di quelli presenti nelle case private circostanti e per quanto riguardava i servizi di ristorazione non c’era niente che fosse possibile raggiungere dalla spiaggia senza un deltaplano a motore.
La millantata spiaggia privata era una ciottolaia piena di merde di cane e di uomo, preservativi usati e vetri spaccati. L’acqua era effettivamente limpida a volte anche per un paio d’ore dopo l’alba, ma man mano che ci si avvicinava a degli orari più consoni ad una villeggiatura che a una battuta di pesca subacquea l’acqua si trasformava inesorabilmente in un minestrone variegato a base di rifiuti liquidi e solidi tra i più disparati.
La vecchia costringeva la signora Tina a trascinarsi una sedia a sdraio con telaio in legno pesantissimo proveniente direttamente dall’artigianato degli anni ’60, unitamente ad un ombrellone, a un borsone frigorifero e ad un borsone porta cosmetici riempito all’inverosimile di medicinali, creme, bigodini, spazzole e ventagli.
“Posso aiutarla”, fece Emilio scegliendo il miglior timbro di voce disponibile, “ah grazie”, rispose immediatamente la signora Tina che aveva cominciato a sudare e a bestemmiare mentalmente, sfiancata dal peso di quelle cianfrusaglie. La vecchia che la precedeva di qualche metro si girò per vedere cosa stesse accadendo alle sue spalle, “chi è questo giovane, che vuole?” gracchiò la vecchia acida all’indirizzo della signora Tina, “e’ n’amico mio signò nun v’ preoccupate, è gentile c’sta aiutann”. Emilio fu un po’ sorpreso da quell’accento sguaiato ma apprezzò il fatto che la signora Tina lo considerasse già un amico. In realtà la signora Tina non aveva la minima idea di chi cazzo fosse Emilio, non lo aveva nemmeno riconfuso col commesso di Euronics, era solo stanca sia fisicamente e soprattutto moralmente ed avrebbe accettato l’aiuto di chiunque. Consegnò ad Emilio l’intero carico di cianfrusaglie e riprese a camminare sculettando e bestemmiando a bassa voce tutti i morti della vecchia. Emilio notò che portava i tacchi a spillo che non erano propriamente la cosa migliore da indossare su una spiaggia infestata da ciottoli maligni. Inoltre notò che la signora aveva le gambe semidevastate dalla cellulite e dalle vene varicose. Indossava un perizoma da mercatino avvolto da un foulard leopardato semitrasparente, una canottiera a rete nera da baldracca e portava un cappellone rosa acceso leggermente sbiadito e consumato.
Emilio si sentì subito messo in mezzo e avrebbe voluto abbandonare il carico e fuggire come uno di quei soldati che disertavano una guerra già persa, ma come spiegarlo agli amici? Nessuno di loro aveva un’estate da vivere, se anche Emilio rinunciava alla sua era la fine per tutti. Si sarebbe profilata un’estate ancora più triste di quella del 2002: l’Italia umiliata ai mondiali, Gaetano licenziato, Rino operato d’urgenza di peritonite, Emilio scartato alla selezione degli animatori in un villaggio in Calabria (quando ormai sembrava cosa fatta).
Cominciò ad analizzare la situazione cercando di mettere a fuoco tutti gli aspetti positivi, ma più osservava la signora Tina da vicino e più gli sembrava di aver a che fare con una cessa volgare e probabilmente anche ladra.
Giunsero alla spiaggia di ciottoli che i muscoli delle braccia gli bruciavano.
La vecchia diede disposizioni su dove piazzare la sedia e l’ombrellone. Data la natura del terreno era impossibile tenere la sedia in piano o piantare un ombrellone da sabbia. La vecchia non volle saperne. Emilio passò una mezz’ora imbarazzante a sudare e ad arrancare con sedia e ombrellone mentre la vecchia lo incalzava da tergo con commenti offensivi. Tina osservava la scena come se non fossero cazzi suoi, rovistò in una borsetta da sera che aveva appresso e cacciò una sigaretta sbilenca che si accese tra una bestemmia e un’altra.
Emilio si chiedeva perché bestemmiasse tanto e se lui in qualche modo c’entrasse qualcosa.
La vecchia sprofondò nella sedia a sdraio e cominciò a soffiarsi con un ventaglio senza degnare Emilio né di uno sguardo né tantomeno di un grazie. Tina distese un asciugamano di marca scolorito su quel terreno frattale e adagiò le sue grazie flosce con la leggiadrìa di una medusa morta.
Cominciò ad ungersi d’olio all’inverosimile, slacciò il foulard copriperizoma e se lo attaccò in testa a tipo bandana, poi si stravaccò all’indietro, inforcò un paio di occhiali scurissimi e allargò le gambe come se stesse partorendo. Sembrava volesse abbronzarsi l’interno del buco del culo o qualcosa del genere. Emilio rimase perplesso sul da farsi, poi srotolò anche lui il suo asciugamano e si sistemò a pochi metri dalla signora Tina. Per quasi un’ora non successe niente poi improvvisamente la signora Tina voltò la testa in direzione di Emilio: “giovane cortesemente mi volete andare a prendere una cosa da bere?”. Emilio annuì, “che volete signora?”, “maaahhh…una birra, una nastra azzura”, “comunque mi chiamo Emilio”, “ah, piacere Tina”.
Emilio si issò in piedi, si rimise il pantaloncino e si avviò verso un qualcosa che nemmeno lui sapeva dove o cosa fosse. “ERSILIO”, urlò la signora Tina, “vedi se tengono quella grande, no quella piccola, hai capito? nastra azzurra!”. Erano le 10 e mezza scarse, Emilio provò ad immaginare che tipo di persona fosse una che sentiva il bisogno di scolarsi a colazione quasi un litro di birra al posto di cappuccino e cornetto. Camminava come intontito dall’imputridimento progressivo della situazione, chiedendosi come ci fosse finito e perché non riuscisse a tirarsene fuori. C’era una specie di aberrato senso del dovere che lo spingeva a continuare o almeno a far finta di continuare quella sottospecie di avventura galante scaturita da una loro allucinazione collettiva. Ma che cazzo avevano visto, ma come cazzo avevano fatto a scambiare quella baldracca semialcolizzata per la donna dei loro sogni proibiti?
Oddio per la verità le donne avevano questa singolare caratteristica, a volte sembrava che non avessero una identità fisica reale ma che assumessero le caratteristiche in base a delle proiezioni inconsce dell’osservatore. In parole povere un cesso poteva diventare attraente o ancora più cesso a seconda delle possibilità (e del tipo di possibilità) che avevi di interagire con lei. Forse si trattava di una qualche bizzarra legge di meccanica quantistica in grado di influenzare sistemi macroscopici o, più semplicemente, era uno dei tanti modi con i quali Dio si divertiva a torturare alcuni.
Non so se anche in questo caso la colpa fosse di Dio ma sicuramente ubicare la prima bottiglia di “nastra azzurra” da ¾ disponibile a circa un kilometro in salita dalla zona spiaggia era una bella bastardata.
Emilio tornò dalla signora Tina sudato da fare schifo. La signora gettò per terra il bicchiere di carta capovolto che fungeva da tappo provvisorio della birra e attaccò a bere a canna. Diede due sorsi, al terzo si interruppe e chiese ad Emilio se ne voleva un poco. Emilio scosse la testa e si mise a sedere rassegnato sul suo asciugamano. A metà bottiglia la signora gli rivolse la parola chiamandolo “giovane” e dandogli del voi, cominciò a biascicare domande seminsensate, di cui una fu interrotta da un rutto soffocato. Emilio rispondeva a monosillabi.
Alla fine della bottiglia la signora Tina cominciò a dare moderatamente i numeri, rispose male un paio di volte alla vecchia che le gracchiava ordini incomprensibili e poi decise di andarsi a dare una sciacquata nel mare che cominciava moderatamente ad insozzarsi.
Emilio la seguì più che altro per il timore che la vecchia lo scambiasse per un aiuto badante e lo mandasse a fare la spesa o gli chiedesse di montare una veranda vista mare.
La signora Tina si tuffò con cappello ed occhiali, perse entrambi e bestemmiò nitidamente Gesù Cristo. Emilio le recuperò tutte e due gli oggetti e quando la signora constatò che il cappello si era (ovviamente) bagnato bestemmiò nuovamente Cristo attribuendogli stavolta contemporaneamente sia le corna (da parte di un’improbabile coniuge) sia un’indole omosessuale piuttosto smaccata. Emilio avrebbe voluto fare una battuta su Dan Brown e il codice Da Vinci ma riteneva poco probabile che la signora Tina lo avesse letto, visto o che ne avesse semplicemente sentito parlare.
Gaetano invece l’aveva letto e si era appassionato all’argomento, aveva anche un paio di DVD con tanto di documenti allegati, guide, mappe etc… Non si era perso una sola trasmissione sull’argomento ed una sera li aveva costretti tutti a guardare un talk show interminabile dove dei coglioni molto autorevoli si accapigliavano su un segreto che aveva attraversato i secoli dei secoli, passando dagli Esseni ai templari, alle SS fino a giungere alle casalinghe.
Risalirono in spiaggia, la signora Tina trovò il tempo di mandare affanculo un bambino che l’aveva urtata con un giocattolo gigante di plastica che riproduceva una cannone al plasma (e che doveva costare altrettanto). Non si era accorta di aver incrociato una rissa tra Dragon ball, ninja, wrestler WWF e qualche marines spaziale impersonati da bambini drammaticamente simili tra di loro. Erano tutti obesi, isterici ed effeminati. Avevano dei tatuaggi posticci e fingevano di massacrarsi sotto gli occhi compiaciuti dei genitori maschi che interpretavano quelle esplosioni isteriche da eunuchi viziati come irrefrenabile ardimento virile. I genitori li vestivano a tipo rappers, con tanto di acconciature da pugili di colore e gli garantivano tutti i moderni gadget di conforto che la tecnologia forniva a scadenza semestrale. Lettori di mp3, playstation portatili, cellulari con videocamera, memoria da paura e software dedicato per il montaggio video. Presto questi giovani spartani sarebbero divenuti preda di bulli, pupe e figli di lavavetri che li avrebbero nell’ordine picchiati, spolpati, derubati e (con un po’ di fortuna) anche sodomizzati. I genitori ignari della tragedia imminente avrebbero continuato a rimpinzarli di attenzioni, tecnologia e grassi idrogenati e sarebbero rimasti nell’irremovibile convinzione di stare allevando dei rampolli virili come Rocco Siffredi, intraprendenti come Briatore e grintosi come Gattuso. Per il momento più che a John Cena i rampolli assomigliavano a Maria Giovanna Maglie ma i genitori contavano sul fatto che “…ancora non avevano fatto lo sviluppo”. Uno dei padri in questione, che aveva udito in maniera nitida il vaffanculo pronunciato dalla signora Tina all’indirizzo del figlio aspirante Marine, si era avvicinato con fare minaccioso per chiederle spiegazione proprio mentre l’effetto dell’alcool mattutino raggiungeva l’apice nella testa di costei. La signora Tina sfoggiò termini, offese e minacce che poteva aver imparato solo in una casa circondariale, l’aria si fece tesa e imbarazzante, Emilio era una statua di sale. Per fortuna la cosa si chiuse lì anche perché uno dei virili virgulti come annusò l’aria tesa di una vera rissa imminente cominciò a piangere, a tremare e a pisciarsi letteralmente addosso per la paura. L’assemblea si sciolse di fronte a quello spettacolo increscioso. Tornarono tutti a sedere, compresi Tina ed Emilio. Passò un quarto d’ora e l’acqua di mare sporco cominciò a fare il suo effetto sull’infezione vaginale della signora Tina, la quale cominciò a grattarsi senza ritegno alcuno sotto gli occhi allibiti di Emilio. La signora si grattava ed imprecava contro il marito e più in generale contro tutto il genere maschile assimilandolo sommariamente ad una varietà di suino sodomizzatore miracolosamente generato da una bizzarra varietà di scimmie africane denominata “scigna puttana”.
In quel momento squillò il cellulare di Emilio, era Gaetano: ”capitano tuttapposto?, l’hai vista?”, “si”, rispose Emilio con tono glaciale. Gaetano ovviamente fraintese, “Emì ma che non puoi parlà? Ma che ‘a signora sta là?”, “Si”, ribadì Emilio (ribadendo il tono glaciale). “Madonna Emì lo sapevo, sei un grande…vai…vai!nun t’ voglio romp’ o cazz, grande Emilio, facci sognare!” e riattaccò.
Emilio fece i bagagli nemmeno un’ora dopo, quando Gaetano e i ragazzi se lo videro arrivare quel pomeriggio stesso sotto al bar con le chiavi in mano e un espressione tesa ebbero quasi un mancamento corale.
Sarebbe stata un estate peggiore del 2002, lo intuirono tutti.
Quando tornò a casa la madre lo guardò stupita: “Emì ma non eri andato in villeggiatura?”
“Quest’estate forse non vado a mare”
“Come non vai a mare Emì e che fai? Ti stai a casa?, vai in montagna, dove…”
Emilio non l’ascoltava già più, entrò nel salone, si tolse le scarpe, spinse uno sgabello con un piede davanti alla poltrona e sprofondò in quest’ultima. Allungò i piedi sullo sgabello, afferrò il telecomando e cominciò ad invecchiare, senza scrupoli.
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