Uscì di casa fischiettando. Era contento che fosse finalmente tornato il sole. Voltò l’angolo della strada e si bloccò. Sul marciapiede opposto stava camminando l’ultima persona che si sarebbe aspettato di rivedere. Quanti anni erano passati? Portava ancora i capelli lunghi, raccolti in una coda, che gli condonavano almeno dieci anni. L’ultima volta si erano visti a Firenze, a un festival letterario. C’era anche il suo nome nella lista dei critici letterari più accreditati. Allungando il passo lo raggiunse nel cono d’ombra proiettato dalla colonna marmorea al centro della piazza. Là si era fermato per rispondere al cellulare.
“Vichi, Vichi!” gli urlò. Quello chiuse la conversazione e rimase immobile, i muscoli contratti in una smorfia di stupore o di fastidio.
“Vichi, non ti ricordi di me? Postriboli, Giancarlo Postriboli!”
Dario Vichi si rianimò al suono delle ultime sillabe, le labbra si schiusero a un sorriso di circostanza. “Ah, certo, certo, come stai?”
“Bene, bene. Anche tu, a quanto vedo. Sempre con quella tua aria sbarazzina, eh!” Postriboli si guardò intorno con aria circospetta. Gli ultimi passanti erano stati risucchiati dagli ingressi dei vicoli come spifferi d’aria. Il sole si era dileguato in un pertugio di orizzonte. Dalla tasca dell’impermeabile trasse un articolo di giornale stropicciato e glielo porse indicandogli la fotografia al centro. Era la copertina di un libro. Nella didascalia c’era scritto Il sogno di Postriboli, l’ultima fatica letteraria dello scrittore Ocram Ihciv . “Te lo ricordi, Vichi?”
Quello scosse la testa a significare un no, non mi pare.
Postriboli non si scompose e di nuovo si guardò intorno. Non c’era più nessuno.
“Davvero non ricordi?”
Dario Vichi sbuffò e adocchiò il rolex al polso.
“Sì lo so, si è fatto tardi” lo precedette Postriboli. “Anche allora era così, ricordi?”
Vichi si rannuvolò. “Temo che tu mi stia attribuendo cose diverse, cose che non mi appartengono. A dire il vero, non sono neppure sicuro di conoscerti.”
Postriboli lo fissò come un predatore al termine della sua caccia. “Non sei sicuro di conoscermi? Prima, però, hai risposto al mio saluto.”
Vichi tentò invano di focalizzare quel volto. Davvero non gli diceva nulla.
“E’ inutile, scusa, che strabuzzi gli occhi: la mia faccia non ti dirà mai nulla. Però dovevi averla in mente quando mi hai insultato.” Prima che l’altro potesse fiatare gli lesse la prima parte dell’articolo. A uno scrittore come Ocram Ihciv che definisce il proprio personaggio “scimmione” io non posso che dire <>. E infatti Postriboli dà l’idea di uno scimmione fuggito da una giungla. Anche Ocram Ihciv, però, dovrebbe far rientro in una giungla: quella degli agenti letterari che tormentano gli scrittori esordienti. Perché da lì proviene…Firmato Dario Vichi.
Vichi spalancò la bocca come se quell’articolo dovesse ingoiarlo. “Che ne so, io? Ne ho scritto di recensioni in trent’anni di carriera e…”
“Vedi,” lo interruppe Postriboli “delle volte voi critici avete una sola esigenza: imbrattare una pagina di giornale o di rivista con una lunga teoria di masturbazioni mentali, e pazienza se per farlo dovete sporcare il nome di uno scrittore e del suo personaggio. Che cosa ve ne frega, in fondo?”
Vichi avvertì un disagio fortissimo. Quella piazza vuota non gli preannunciava nulla di buono. Guardò l’altro negli occhi e accennò un saluto, ma la calibro nove che comparve in quel momento nella mano di Postriboli lo paralizzò.
“Cerchiamo di ragionare” balbettò il critico con le mani che gli tremavano.
“Ragioniamo pure mentre ti rinfresco la memoria. Io sono stato il protagonista di molti romanzi di Ocram Ihciv. Sono stato un commissario di polizia, stimato da editori e lettori finché non ti sei messo di mezzo tu coi tuoi attacchi e col tuo stile denigratorio. Nel giro di un anno Ihciv si è trovato senza più un contratto, con le case editrici che gli sbattevano le porte in faccia.”
Vichi si sentì come un bambino sperduto. Perché quella maledetta piazza si era trasformata in un deserto? “Senti” reagì con stentato vigore “noi critici questo dobbiamo fare, l’hai detto tu stesso. Niente di personale…”
“Niente di personale” lo scimmiottò Postriboli. “Che frase abusata! E tu saresti un critico letterario, uno che vive di parole? Beh le parole, la vita stessa mi sono state tolte a causa tua. Da un giorno all’altro Ihciv si è trovato il deserto attorno. E questa è stata la sua morte come scrittore. Infatti è stato costretto a riaprire un’agenzia letteraria per campare. Solo che la sua morte letteraria ha segnato la mia fine come personaggio: sono rimasto incastrato nella prima pagina di un file, quello che avrebbe dovuto essere il suo nuovo romanzo. Ho urlato come un disperato per continuare a muovermi, perché avevo delle indagini e altri personaggi che mi attendevano. Ma è stato inutile. Ihciv mi ha lasciato là come un salame e con questa pistola in mano. Ed io con questa ti faccio saltare il cervello.”
“Ti prego, no!”
Il proiettile gli arrivò dritto in fronte. Postriboli rimise in tasca l’articolo ma pensò che là dentro l’aveva conservato per troppi anni. Fece per appallottolarlo ma qualcosa richiamò la sua attenzione. Il sangue che colava dalla fronte del critico aveva uno strano colore. Non rosso chiaro come l’avrebbe potuto immaginare ma scuro e denso. Era incredibile, era davvero incredibile: quel sangue non era sangue, era un autentico fiotto d’inchiostro che aveva creato una piccola pozza. Su quella abbandonò l’articolo, tanto chi sarebbe potuto risalire a un assassino di carta?
Alzò lo sguardo al cielo e nella sua bocca affiorò un sorriso. Finalmente era tornato il sole.
“Vichi, Vichi!” gli urlò. Quello chiuse la conversazione e rimase immobile, i muscoli contratti in una smorfia di stupore o di fastidio.
“Vichi, non ti ricordi di me? Postriboli, Giancarlo Postriboli!”
Dario Vichi si rianimò al suono delle ultime sillabe, le labbra si schiusero a un sorriso di circostanza. “Ah, certo, certo, come stai?”
“Bene, bene. Anche tu, a quanto vedo. Sempre con quella tua aria sbarazzina, eh!” Postriboli si guardò intorno con aria circospetta. Gli ultimi passanti erano stati risucchiati dagli ingressi dei vicoli come spifferi d’aria. Il sole si era dileguato in un pertugio di orizzonte. Dalla tasca dell’impermeabile trasse un articolo di giornale stropicciato e glielo porse indicandogli la fotografia al centro. Era la copertina di un libro. Nella didascalia c’era scritto Il sogno di Postriboli, l’ultima fatica letteraria dello scrittore Ocram Ihciv . “Te lo ricordi, Vichi?”
Quello scosse la testa a significare un no, non mi pare.
Postriboli non si scompose e di nuovo si guardò intorno. Non c’era più nessuno.
“Davvero non ricordi?”
Dario Vichi sbuffò e adocchiò il rolex al polso.
“Sì lo so, si è fatto tardi” lo precedette Postriboli. “Anche allora era così, ricordi?”
Vichi si rannuvolò. “Temo che tu mi stia attribuendo cose diverse, cose che non mi appartengono. A dire il vero, non sono neppure sicuro di conoscerti.”
Postriboli lo fissò come un predatore al termine della sua caccia. “Non sei sicuro di conoscermi? Prima, però, hai risposto al mio saluto.”
Vichi tentò invano di focalizzare quel volto. Davvero non gli diceva nulla.
“E’ inutile, scusa, che strabuzzi gli occhi: la mia faccia non ti dirà mai nulla. Però dovevi averla in mente quando mi hai insultato.” Prima che l’altro potesse fiatare gli lesse la prima parte dell’articolo. A uno scrittore come Ocram Ihciv che definisce il proprio personaggio “scimmione” io non posso che dire <
Vichi spalancò la bocca come se quell’articolo dovesse ingoiarlo. “Che ne so, io? Ne ho scritto di recensioni in trent’anni di carriera e…”
“Vedi,” lo interruppe Postriboli “delle volte voi critici avete una sola esigenza: imbrattare una pagina di giornale o di rivista con una lunga teoria di masturbazioni mentali, e pazienza se per farlo dovete sporcare il nome di uno scrittore e del suo personaggio. Che cosa ve ne frega, in fondo?”
Vichi avvertì un disagio fortissimo. Quella piazza vuota non gli preannunciava nulla di buono. Guardò l’altro negli occhi e accennò un saluto, ma la calibro nove che comparve in quel momento nella mano di Postriboli lo paralizzò.
“Cerchiamo di ragionare” balbettò il critico con le mani che gli tremavano.
“Ragioniamo pure mentre ti rinfresco la memoria. Io sono stato il protagonista di molti romanzi di Ocram Ihciv. Sono stato un commissario di polizia, stimato da editori e lettori finché non ti sei messo di mezzo tu coi tuoi attacchi e col tuo stile denigratorio. Nel giro di un anno Ihciv si è trovato senza più un contratto, con le case editrici che gli sbattevano le porte in faccia.”
Vichi si sentì come un bambino sperduto. Perché quella maledetta piazza si era trasformata in un deserto? “Senti” reagì con stentato vigore “noi critici questo dobbiamo fare, l’hai detto tu stesso. Niente di personale…”
“Niente di personale” lo scimmiottò Postriboli. “Che frase abusata! E tu saresti un critico letterario, uno che vive di parole? Beh le parole, la vita stessa mi sono state tolte a causa tua. Da un giorno all’altro Ihciv si è trovato il deserto attorno. E questa è stata la sua morte come scrittore. Infatti è stato costretto a riaprire un’agenzia letteraria per campare. Solo che la sua morte letteraria ha segnato la mia fine come personaggio: sono rimasto incastrato nella prima pagina di un file, quello che avrebbe dovuto essere il suo nuovo romanzo. Ho urlato come un disperato per continuare a muovermi, perché avevo delle indagini e altri personaggi che mi attendevano. Ma è stato inutile. Ihciv mi ha lasciato là come un salame e con questa pistola in mano. Ed io con questa ti faccio saltare il cervello.”
“Ti prego, no!”
Il proiettile gli arrivò dritto in fronte. Postriboli rimise in tasca l’articolo ma pensò che là dentro l’aveva conservato per troppi anni. Fece per appallottolarlo ma qualcosa richiamò la sua attenzione. Il sangue che colava dalla fronte del critico aveva uno strano colore. Non rosso chiaro come l’avrebbe potuto immaginare ma scuro e denso. Era incredibile, era davvero incredibile: quel sangue non era sangue, era un autentico fiotto d’inchiostro che aveva creato una piccola pozza. Su quella abbandonò l’articolo, tanto chi sarebbe potuto risalire a un assassino di carta?
Alzò lo sguardo al cielo e nella sua bocca affiorò un sorriso. Finalmente era tornato il sole.
1 commento:
You write very well.
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