martedì 17 marzo 2009

DEATH IN ESSEX di Poloismylife


“Ti sei bevuto l’ultima birra brutta merdaccia?”

Joe del resto ne ha le palle piene del fatto che non faccio altro che far finta di cercare lavoro e bere lattine di sidro a nastro, la sua è una missione che ha per scopo quella di farmi diventare quasi normale. Ultimamente Joe è come le puttane che smettono di battere, o i drogati che smettono di farsi, diventano tutti Giovanna D’Arco… si credono tutti dei piccoli E.J. Hoover che ti ronzano intorno come zanzare della CIA. Gli dai incredibilmente fastidio perché in un certo senso gli ricordi loro stessi. Non riescono a fare i conti con quello che sono stati, stai a vedere poi che è colpa tua solo perché sono tirchi e non gli va di andare da qualche tizio a farsi psicanalizzare…
La casa dove abitiamo con Zio e la sua sciroccata svedese del San Martin’s College, è su due piani e confina con un maledetto Kentucky Fried Chicken che come esci sulla scaletta nel retro, la scaletta di ferro, o ti viene voglia di pollo fritto oppure ti metti a vomitare sui gradini. Qualche volta pensi al suicidio. Sono tre mesi che sono venuto qui a ripigliarmi, diciamo che ci sono riuscito al 60%, sono persino più grassottello. Lo dice anche Joe quando si fa le canne spaparanzato sul divano, quando è di buon umore, quando si è trombato una diciottenne. Altre volte gli devono venire le sue cose e riesco a farlo stranire soltanto per la faccia che mi ritrovo e allora dice che sono quello di sempre. Nel mio caso non è mai un complimento anche se io per spirito di sopravvivenza lo prendo come tale e sorrido a trentaduemila denti. Le giornate si susseguono come fotocopie tutte uguali, per via del cielo sempre bianco, del odore di pollo fritto. Io però adoro la ripetitività, quindi mi sta bene anche sto tempo infame. Ha fatto delle belle giornate di sole quando ancora facevo lo spazzino a nord di Walthamstow, ma la cosa mi lasciava indifferente. Anzi, talvolta m’indispettiva giacché alle sette del mattino faceva freddo e verso le undici dovevo liberarmi della giacca poiché sudavo, quindi la dovevo sistemare alla male e peggio sul mio trabiccolo pieno di merdate. Un bambino paki una volta mi chiede con immensa faccia da cazzo e un inquietante peluria sul labbro superiore se sono per caso un barbone o se raccolgo soltanto la robba che i barboni si lasciano appresso. Non curandomi di essere visto dalle macchine che sfrecciano sulla strada a me assegnata, vibro un colpo di scopa ma il ragazzino la schiva e mi fa una pernacchia. Un futuro campione di cricket? Non ricordo bene perché mi sia licenziato dalla nettezza urbana del nord di Londra, anche se una vaga idea ce l’ho. Poco male. Dopo un po’ di cazzeggio, innumerevoli passeggiate per la via del mercato, su e giù con il Job center, vengo incastrato dal mio amico. Forse la diciottenne lo ha accannato per un coetaneo, infondo io non ci vedo nulla di sbagliato in questo. Dunque me l’ha trovato Joe un bel lavoretto, un impiego al Sainsbury’s, la catena di supermercati dentro la quale tempo qualche mese verrò arrestato per taccheggio. Joe mi porta un bel depliant e sostiene che ci sono immense possibilità di far carriera. C’è della malcelata ironia nelle sua parole, nonché una punta di sadismo. Di colpo mi metto in testa di nutrire un odio viscerale nei suoi confronti e smetto di rivolgergli la parola. D’ora in poi ci comunicherò soltanto a gestacci. La realtà è che lui non vede l’ora di vedermi indossare una divisa da babbeo, mica gliene importa più di tanto che io mi dia da fare, vuole vedermi vestito da pupazzo per venire colto da isteria e ridere fino a pisciarsi addosso. Inutili i miei piagnistei che preferirei rimettermi a fare lo spazzino, vendere il culo o seppellire morti. L’affitto incombe, non faccio mai la spesa, è ora che mi renda utile alla causa tanto più che ho finito di scrivere la tesi a Sofia, la debosciata di Zio e non ho più uno straccio di alibi. Oltretutto essendo Zio uno spacciatore, solitamente preferisco sempre farmi pagare in merce anziché in contanti. Niente da fare. Mi tocca andare a fare il colloquio, Joe non si fida e mi segue da casa e fino alla porta del supermercato, mi sistema la camicia e mi pettina come farebbe una mamma. Una volta dentro, sono circondato da inglesi ritardati e minoranze etniche dall’aria mille volte più determinata di me. Sono moderni, quindi ci fanno compilare un po’ di questionari in un ufficio dal soffitto fastidiosamente basso. Le luci sono al neon, vado a fumare una sigaretta al cesso e mi rendo conto che sono così pallido che sembro quasi trasparente. Forse, mi illudo, non mi assumeranno perché sono invisibile. Ma quelli che si curano delle assunzioni ne sanno una più del diavolo. Ci infliggono un filmino sul supermercato e poi ci dicono di annotare quello che abbiamo visto. Cristo, ho un gran bel spirito d’osservazione, come minimo mi fanno dirigente. La prendo come una sfida, ma vedo i pakistani e persino gli inglesi buzzurri scrivere senza sosta come reporter anni cinquanta. Io giocherello imbarazzato con la penna prestatami da una cicciona con il velo. Mi vengono in mente scioglilingua e filastrocche friulane che mi cantava mia nonna, sorrido alla mia nuova amica islamica ma lei mi ignora. Passano un po’ di giorni, Joe si alza per andare al lavoro e mi maledice perché io posso dormire in attesa delle decisioni dei responsabili personale del Sainsbury’s. Rido e mi tiro la coperta fino alle orecchie, Joe pensa a qualche forma di vendetta. So che devo stare in guardia, ma conto pecorelle e mi riaddormento. Io e il mio amico, condividiamo è vero il letto, ma siamo come Kato e L’ispettore Cluseau, sebbene sia difficile dire chi dei due è chi. Quando poi ci ubriachiamo, nonostante lui sia due metri e io solo uno e ottanta ci pistiamo, improvvisiamo bumfights che i nostri amici fanno finta di non conoscerci e ci lasciano a piedi. La nostra è una rivalità demenziale che viene fuori dopo la sesta o settima pinta. In genere iniziamo con delle punzecchiature, per poi passare agli insulti, a coinvolgere le nostre madri, fin quando in strada prendiamo la zuppa da quelli dell’esercito della Salvezza e ce la rovesciamo addosso, mentre ci prendiamo a pugni sulla scala mobile della metropolitana, che poi arriva qualche tipa in divisa blu che ci intima di piantarla che altrimenti chiama gli sbirri. Certo, certo… le interferenze altrui ci distolgono l’uno dall’altro, una breve tregua, ma poi si ricomincia che se non torniamo su per la scaletta di ferro nel retro di casa, belli imbalsamati non siamo contenti. Sofia ci chiede se siamo pazzi, noi le ruttiamo in faccia anche se Zio non è contento, ma pazienza lei è svedese.
Ed il lavoro purtroppo stavolta arriva. Joe mi consegna la busta marrone con un sorriso malvagio dal momento che l’ha già aperta e sa che il miracolo che aspettava da tempo è arrivato. Inizio a prendere a calci la stanza, non riuscendo a capacitarmi del fatto che quei pezzi di merda hanno avuto il coraggio di assumermi. Joe mi carezza la testa, io mi calmo e vengo rapito da visioni mistiche. Il lavoro lo immagino come una morte con un saio arancione, il colore del supermercato, anziché una falce, stringe un codice a barre. Vorrei scappare, ma stavolta proprio non posso. La casa in cui mi trovo ha un bel tepore, gli altri fanno la spesa e io di tanto in tanto mi metto a cucinare. Guardiamo Borat e pippiamo ketamina. E’ un idillio sfigato d’accordo ma pur sempre un idillio. Cosa ci sia di idilliaco non riesco a metterlo bene a fuoco, ma va bene così in fondo.
“Credi ti daranno una divisa Billy?”
Cerco d’ignorarlo, bevo dalla mia lattina di ghetto sidro facendo finta di seguire un documentario sull’aquarello, con tre rotti in culo che devono dipingere un paesaggio in qualche posto in Cornovaglia.
“Secondo me ti starà bene la divisa, ti darà un aria importante…”
Gli dico d’impiccarsi e mi accendo una sigaretta. Arriva pure Zio, si unisce allo sghignazzo dell’altro deficiente ma poi per tirarmi su il morale decide di portarmi a prendere un po’ d’aria fresca. Si va dal batterista dei Death SS, uno dei suoi clienti che preferisco. Uno che le pasticche le chiama “gnam gnam” e che la coca la chiama “naso”. Passo delle ore spensierate, il Death SS dice bestialità una dietro l’altra, Zio mi controlla per vedere se la cosa mi diverte. Per qualche oscura ragione a certe persone diverte il fatto che certe cose mi divertano. Ogni tanto devo andare al bagno perché mi viene la ridarella. Poi Zio mi offre una botta di bamba sperando che magari m’incastro e la smetto di fare l’imbecille che dopotutto lui sta lavorando. Ma questa specie di orso di uomo, credo venga da Sabaudia, Latina o qualche altro inferno laziale, non si rende conto quanto mi fa morire. Infatti io lo ascolto e lo invito a dirne di più grosse, così alla fine gli sto tanto simpatico che me ne offre una anche lui. Usciamo da tana delle tigri e visto che ci muoviamo come tutti e due come Pinocchio, Zio propone di andarci a fare un paio di pinte. Tanto paga lui…
Mi presento al Saynsbury alle nove del mattino del grande giorno. Vado nell’ufficio di un Pakistano moderno e corpulento. Sto tizio in giacca e cravatta parlotta con un inglese, sono di buon umore entrambi. I sfodero un sorriso costipato.
“A Filippo, come Filippo Inzaghi…”
Bofonchio una bestemmia tra i denti e mi presento nel reparto vestizione pupazzi. Mi mollano la mia bella divisa, adesso non ricordo ma oltre ai pantaloni a sigaretta da poliziotto e la camicia, c’è una sorta di cravatta che si fissa con una pin e il meraviglioso maglioncino arancione che Joe sogna ormai da giorni. Ma il pezzo forte sono gli scarponcini che mi fanno camminare come Frankenstein. Mi mettono subito nel ventre mollo del supermercato, il magazzino. Ci sono un ciccione cockney che non c’è mai e un tipo jamaikano di mezz’età che si rulla sigarette ogni cinque minuti. Vengo addetto allo scarico merci dai camion. Lavoro sulla rampa e carico il muletto a mano di generi alimentari, poi li metto dove mi dicono loro. Facciamo un po’ d’inventario, siamo la quint’essenza della svogliatezza. A pranzo vado a casa, i piedi mi fanno così male che se qualcuno mi regalasse dei pattini me li metterei per andarmi a suicidare contro mano addosso un camion. A casa non c’è nessuno e ringrazio dio, giacché finalmente posso constatare davanti allo specchio quanto sono finito in basso. Mi faccio un panino e due lattine di sidro, poi mangio un pacchetto di vigorsol, in preda ad un attacco di bulimia da gomma arabica. Torno al mattatoio e leggermente brillo aspetto istruzioni. Il Jamaikano mi dice di prendermela comoda, di sedermi pure. Poi arriva un inglese con un aria a metà tra il finocchio ed il nazista che mi chiede perché non ho nulla da fare. Borbotto che sono nuovo. Il pederasta fa una faccia strana e mi domanda se sono Irlandese. Questa poi…
“Allora che ci fa un italiano con un nome spagnolo a Walthamstow? precisamente nel magazzino di un Sainsb…”
“Non è spagnolo”
“Come ti pare, sicuro di non essere irlandese?”
Dopo che il rompipalle se ne va e il Jamaikano esce dal suo nascondiglio, gli domando cos’è sta storia degli irlandesi. Bob fa spallucce e dice che il tipo deve averlo pensato perché ho un aria pigra e che dicendogli di essere italiano non ho certo migliorato le cose.
Il giorno dopo Bob mi mostra il mio nuovo incarico. Andiamo fuori dove c’è una gigantesca pressa, davanti alla quale sono sistemati altissimi carrelli pieni di cibo avariato che dovrò sterminare io in persona. La pressa è pericolosissima, un tipo ci è morto dentro ma il mio collega non si ricorda bene come. Mi mostra il funzionamento dei pulsanti, mi da una specie di badile, una giacca e mi fa buona fortuna. Mi gratto le palle. Inizio a spiaccicare merda, maledicendo Joe ad ogni palata. Mi si inzaccherano per bene i pantaloni e smadonno perché da essi si leva un odore mefitico. Ogni tanto passa il Jamaikano a vedere se non sono morto o se per caso sono fuggito.
All’una torno a casa, Zio apre la porta e mi sbotta a ridere in faccia. Tiro via la linguetta dalla lattina e mi sparo tutta la pinta in un colpo solo, avanzo fino al salotto barcollando. Sono sul punto di mettermi a piangere. C’è Naso, ormai lo chiamiamo così al tipo dei Death SS. Lui non trova nulla di anormale nel mio nuovo modo di andare in giro. Se ne sta lì ad acchittare e siccome Zio si guarda bene dall’unirsi al suo cliente, mi offre una raglia che proprio non gli piace pippare da solo. A sto punto…
Mi passa la fame, mi imparanoio a pensare alla pressa, ringrazio Naso e scendo giù per la scaletta di ferro doppiamente irrigidito che gli scarponcini da handicappato non erano già abbastanza. Passo all’Off-licence e i turchi, abituati a vedermi sotto ben altre vesti, non ce la fanno a trattenersi e si fanno una risatina pure loro. Non mi incazzo perché mi fanno credito, mi attacco alla seconda lattina di K Cider e camminando come Forrest Gump quando ha i tutori di metallo mi avvio a spalare qualche altra quintalata di merda. La sera del giorno dopo, facendo del bricolage strafatto di ketamina mi apro il palmo della mano in due con un taglierino. Ho reciso il muscolo, Joe fa chiamare l’ambulanza a Zio perché gli viene da vomitare. Sento molto dolore e perdo tanto sangue, ma mi dico che tutto sommato domani dovranno metterci qualche altro stronzo davanti alla pressa. All’ospedale non sono in grado di ricucirmi, quindi il giorno dopo Joe che si è preso un bello spavento chiama un taxi mi ci sbatte dentro. Dobbiamo andare in un ospedale specializzato in questo genere d’infortuni, nell’Essex. Mi dico bene, io non ci sono mai stato nell’Essex…
Lungo la strada ci fermiamo a una stazione di benzina, siccome non hanno birra Joe mi prende tre quattro giornaletti porno, due Snickers ed un Mars.
“Puoi portarmi della robba domani? Ti faccio rientrare…”
Joe mi ignora. Do un morso a una barretta, la frullo dalla finestra, le altre se la stucca il mio amico ora concentratissimo nella lettura del porno che mi dovrebbe tirare su il morale ma che mi farà solo fare figure di merda con le infermiere.

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