venerdì 7 marzo 2008

QUINDICI MINUTI DI ORDINARIA FOLLIA di Masquerade


C’è un bel sole, l’aria frizzante e i fiori già sbocciati in giardino, mattina di Pasqua, la tavola apparecchiata in modo ineccepibile, otto posti, ognuno perfetto, ognuno con il proprio segnaposto, tre bicchieri, sottopiatto, tre piatti, posate per gli antipasti, per il primo, per la carne, per il pesce, per il dolce e la frutta... centrotavola con fiori e frutta freschi fatto per l’ocasione... uova colorate fatte da noi bambini ed ovviamente portate in chiesa a benedire.
Rumore di fondo una musica di Santana, i miei genitori ed i miei zii solevano tenerla sempre durante le cene ed i pranzi di famiglia, le urla di noi ragazzini che ci rincorrevamo per casa e giocavamo nell’attesa del pranzo facevano da controcanto a quella musica... chiacchiere in sottofondo invece dalla sala dove i due fratelli discutevano serenamente.
Una tranquilla domenica di festa... una gioia per gli occhi, una gioia per il cuore di chi ci guardava giocare sereni per poi sederci educatamente a tavola, non prima di esserci lavati tutti quanti le mani nel lavandino del bagno tirato a lucido, prima del nostro arrivo, perchè dopo era un lago di acqua sguazzante dove ci avrebbero potuto mettere un pesce rosso senza che questo rischiasse di rimanere senz’acqua.
Io e mio fratello da un lato del tavolo, mio cugino e mia cugina dall’altro lato con in mezzo le nostre mamme, i babbi rigorosamente ai due estremi, ognuno a capotavola come si compete a dei capofamiglia... che loro a quel ruolo ci hanno sempre tenuto... loro erano quelli che portavano in casa i pantaloni, loro erano quelli che provvedevano con il loro lavoro all’abbondanza che c’era sulle nostre tavole, loro erano uomini... andavano obbediti, andavano rispettati, andavano amati... sempre e comunque.
Poi le chiacchiere da tavola, le portate che si susseguivano mentre noi ragazzini ce la godevamo a ridere, a scherzare ed i “grandi” discutevano di cose che a noi non interessavano un granchè, tutto con tranquillità e con educazione, perchè da sempre ci avevano insegnato che quando siamo a tavola si deve rispettare il cibo che c’è nel piatto, e si devono rispettare gli altri, quindi tutto deve essere fatto nel modo giusto...
Poi... poi...
Quindici minuti di ordinaria follia... nel piatto di mio cugino sono rimasti una decina di pisellini, piccoli, morbidi, verde smeraldo perchè la mamma sa cucinarli come si deve. Il tono basso di mio zio che dice: “mangia quei pisellini, non si lascia la roba nel piatto!”, io e mio fratello ci stringiamo la mano, vedo la faccia tesa di mia madre, di mia zia e di mio padre, mia cugina dà una gomitata a suo fratello e gli sussurra: “mangiali ti prego!”
Sappiamo... Tutti sappiamo cosa sta per accadere... Tutti sappiamo.
Gli occhi son fissi su mio cugino che con occhi supplicanti risponde: “non mi ci vanno, davvero, non ce la faccio proprio a mangiarli.”
Quindici minuti di ordinaria follia... non respiro quasi, così come mio fratello... mia cugina alza la mano per prendere il piatto di suo fratello e dice: “li finisco io, ho proprio fame oggi”, mio zio la fulmina con lo sguardo e ripete a mio cugino: “mangia quei pisellini, non sono nemmeno una decina, mangiali!”
Due occhi neri come la brace si alzano a guardarlo ed una vocina risponde: “NO”.
Quindici minuti di ordinaria follia... la mano è già alzata, la cinghia dei pantaloni è apparsa non si sa come e si abbatte con violenza sul braccio di mio cugino che ripete: “No, ti prego, no” e si alza e si nasconde sotto il tavolino accanto al divano... la figura di mio zio incombe su di lui, mentre noi tre ragazzini restiamo seduti atterriti... le mani strette, il nodo in gola, il terrore che non ci fa uscire una parola per paura che quella stessa cinghia si abbatta su di noi... i grandi che cercano di farlo ragionare... e mio cugino che continua a gridare: “no, ti prego, babbino, no...” e quella cinghia che si alza e si abbassa, si alza e si abbassa... e ancora e ancora... le braccia e le mani di lui a proteggersi il viso che cambiano colore... e quella cinghia che si alza e si abbassa... si alza e si abbassa...
Poi... il silenzio... solo Santana che continua a suonare...
Poi... la sua voce: “a tavola che adesso c’è il dolce e le vostre mamme lo hanno fatto apposta per voi”.
Quindici minuti di ordinaria follia...
Mio padre non mi ha mai toccata con un dito, non mi ha mai dato uno schiaffo, non mi ha mai torto un capello, ma quel giorno...Quel giorno nessuna ha fermato quei quindici minuti di ordinaria follia... Nessuno lo ha fatto!

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Sabi,
mamma mia mi sono venuti i brividi!!!!!!!!!!
Odio le persone che alzano le mani figurati sui bimbi poi.
In casa mia non si è mai risolto nulla con le botte al limite bastava uno sguardo ma non siamo mai stati "toccati" dai genitori.
Sei sempre brava eh.
baci Loredana(fata)

Anonimo ha detto...

complimenti.

Anonimo ha detto...

Purtroppo a parole siamo tutti pronti a dire che i bambini non si toccano, ma poi nei fatti nessuno fa niente, e tu con questo tuo racconto hai espresso benissimo questa tragica verità.

Ciao un saluto da Gabry

Anonimo ha detto...

Bello Sabi.....ma non ne dubitavo ;-)
Amaranta.

Daniel ha detto...

Sabi..
Sono senza parole... sei eccezionale.
Un abbraccio
Daniel

Anonimo ha detto...

l'avevi già pubblicato altrove, lo ricordo bene.
bello, sempre.
ciao, irene

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